“La Rosa vinse per intuito politico”, difesa: “Mai rapporti con Giugno e Barberi”

 
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L'ex sindaco di Niscemi Francesco La Rosa

Gela. L’ex sindaco Francesco La Rosa vinse le amministrative del 2012 perchè “ebbe intuizioni politiche che lo portarono a fare le alleanze migliori”. Nessun rapporto con la criminalità organizzata e con i boss Giancarlo Giugno e Alessandro Barberi, così ha spiegato il difensore dell’ex sindaco di Niscemi, l’avvocato Giuseppe D’Alessandro, che ha esposto le ragioni dello stesso La Rosa, imputato davanti al collegio penale del tribunale di Gela, dopo il coinvolgimento nell’inchiesta antimafia “Polis”. Insieme all’ex sindaco, sono a processo gli imprenditori gelesi Giuseppe Attardi e Carlo Attardi, Francesco Spatola, Francesco Alesci, Salvatore Mangione e Giuseppe Mangione. Giugno invece è stato giudicato in un altro troncone processuale. I pm della Dda di Caltanissetta hanno già chiesto condanne per tutti gli imputati. Per la posizione di La Rosa sono stati chiesti quattro anni di reclusione. Secondo gli inquirenti, la coalizione guidata da La Rosa avrebbe stretto un patto con i vertici territoriali di Cosa nostra, così da ottenere un supporto elettorale, ritenuto decisivo. “Quella di La Rosa è una vicenda nella quale Pirandello ci starebbe bene”, ha spiegato il legale. La difesa, infatti, ha indicato come anche dagli atti di indagine non emergerebbe nessun riscontro che possa far pensare ad un appoggio mafioso. E’ stato definito “inverosimile” il presunto incontro in piazza tra il sindaco appena eletto e Giugno. Anche sul ruolo degli imprenditori gelesi, con Carlo Attardi risultato il più suffragato in  assoluto e poi scelto come assessore, la difesa di La Rosa ha sollevato diverse possibili incoerenze. Per gli investigatori, gli Attardi avrebbero imposto ai lavoratori, che erano alle dipendenze dell’azienda con la quale collaborano, di votare per la coalizione dell’ex sindaco. “Giuseppe Attardi disse no all’assunzione del figlio di Barberi e anche alle richieste di Giugno. Carlo Attardi fu nominato assessore dopo tre anni e mezzo – ha aggiunto il legale – quindi, la mafia sarebbe passata all’incasso dopo oltre tre anni?”. Inoltre, è stata ricordata l’iniziativa di La Rosa che seguì l’intero percorso di costituzione dell’associazione antiracket niscemese. “L’ex sindaco dispose la costituzione di parte civile del Comune in tutti i procedimenti per mafia. Se oggi il Comune è parte civile, lo si deve a La Rosa”. Decisioni amministrative che, è stato confermato dal difensore, avrebbero concentrato sull’allora primo cittadino un certo astio, da parte di esponenti dei clan. “Come mai le verifiche si concentrarono sui candidati nella coalizione di La Rosa e non su quelli che appoggiavano Di Martino? – ha continuato – parliamo di candidati a sindaco assolutamente rispettabili. Su oltre 480 candidati al consiglio comunale, come si può pretendere che si effettuassero controlli approfonditi su tutti e sulle loro parentele?”. Nella coalizione dell’allora sindaco uscente Giovanni Di Martino, è stata ricordata la presenza del cognato del boss Giugno.

“Nell’indagine si richiama il ruolo di Paolo Rizzo, un vero convitato di pietra – ha detto inoltre il difensore – ma dalle intercettazioni è stato appurato che Rizzo dichiarò che non appoggiava nessuno in quella competizione”. La difesa ha concluso chiedendo l’assoluzione. “La Rosa ha già scontato quattro anni – ha concluso il legale – in termini di onore perso. Ridategli la dignità”. Il prossimo novembre toccherà ad altri difensori concludere. I pm della Dda nissena, oltre ai quattro anni chiesti per La Rosa, hanno concluso con sei anni ciascuno per i gelesi Attardi; sette anni, invece, per Francesco Spatola e Francesco Alesci. Quattro anni a Salvatore Mangione e Giuseppe Mangione. Sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Gino Ioppolo, Rocco Di Dio e Claudio Bellanti.

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