L’affare del pesce e l’ombra di Messina Denaro, il blitz “Extra fines”: “Incontri con mafiosi palermitani”

 
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Gela. Gli investigatori che hanno seguito l’intera indagine “Extra fines”, con un ampio filone anche nel territorio di Roma, ritengono che il cinquantottenne Salvatore Rinzivillo avesse assunto a tutti gli effetti il comando della famiglia, con il benestare dei fratelli ergastolani Antonio e Crocifisso. A lui, che seppur residente nella capitale era spesso in città, si sarebbero rivolti anche per persuadere il titolare di un bar, a Caposoprano. Da quel locale, almeno secondo le lamentele giunte da una coppia che viveva nello stesso stabile dell’attività commerciale, arrivavano fastidiosi rumori. Così, i familiari si sarebbero rivolti al presunto boss che avrebbe incaricato un suo uomo di fiducia. Ma le mire dei Rinzivillo avrebbero riguardato mercati molto più importanti, compreso quello del commercio ittico all’ingrosso. Come spiegato da un poliziotto della squadra mobile di Caltanissetta che fin dall’inizio ha seguito le sue mosse, c’era in progetto di espandersi in Marocco per poi rifornire mercati in Germania (attraverso Ivano Martorana) e nel Lazio. Sono stati ricostruiti i rapporti con la famiglia Guttadauro. “Rinzivillo ha incontrato Francesco Guttadauro, figlio di Giuseppe, a sua volta cognato di Matteo Messina Denaro – ha detto nel corso del dibattimento scaturito dal blitz “Extra fines” – abbiamo accertato che c’era l’intenzione di mettersi in società per il commercio ittico. I Guttadauro già operano in questo settore”. Non si esclude che ci fosse l’intenzione di entrare in contatto con il super latitante. Rinzivillo venne seguito nei suoi spostamenti in territorio trapanese, a Castelvetrano così come a Mazara del Vallo e nella villa affittata per l’estate a San Vito Lo Capo. Ma i contatti del presunto capo erano anche palermitani. I poliziotti hanno accertato lo svolgimento di riunioni, in un capannone riconducibile a Carmelo e Angelo Giannone, alle quali avrebbero partecipato esponenti palermitani di cosa nostra. “I contatti c’erano con Giuseppe Rosciglione, figlio di un importante uomo d’onore di Polizzi Generosa – ha proseguito l’investigatore – e con Antonio Maranto”. Nell’affare del commercio internazionale del pesce Rinzivillo avrebbe voluto sfruttare eventuali capitali di un altro imprenditore, Emanuele Catania, a sua volta a processo. “I contatti c’erano attraverso referenti di Rinzivillo – ha continuato – e venne videoripreso un incontro in un’area di servizio”. Non è stato precisato però se l’affare fu mai veramente concluso.

Il presunto boss venne intercettato anche durante i colloqui in carcere con i fratelli, soprattutto con Antonio Rinzivillo. Per più di dieci anni, Salvatore Rinzivillo aveva evitato di far visita al fratello detenuto. Il fatto che i rapporti tra i due fossero ripresi secondo gli investigatori conferma il ruolo di nuovo reggente assegnatogli. Rinzivillo non è a processo davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marina e Silvia Passanisi) ma ha optato per il rito abbreviato. A processo, invece, sono Antonio Rinzivillo, Crocifisso Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Emanuele Catania, Rosario Cattuto, Angelo Giannone, Carmelo Giannone, Giuseppe Licata, Francesco Maiale, Antonio Maranto, Antonio Passaro, Luigi Rinzivillo, Giuseppe Rosciglione, Alfredo Santangelo, Vincenzo Mulè, Luigi Savoldi e Fabio Stimolo. Il poliziotto della mobile di Caltanissetta ha risposto alle domande del pm della Dda nissena Luigi Leghissa e a quelle dei difensori degli imputati. Sono stati ricostruiti diversi episodi. Il poliziotto si è soffermato anche sull’intimidazione subita dal fratello di Carmelo Giannone. Diversi colpi d’arma da fuoco vennero sparati contro la sua abitazione e le fiamme avvolsero un’auto. “Riteniamo che fossero indirizzati al figliastro – ha detto ancora il testimone – che aveva avuto contrasti con i figli di Vincenzo Morso per vicende legate al traffico di droga in Spagna. I Giannone però si attivarono subito per capire chi fosse stato, contattando sia esponenti della stidda sia affiliati a cosa nostra”. I difensori degli imputati, però, hanno del tutto ridimensionato la versione proposta dall’accusa, escludendo che ci fossero interessi mafiosi dietro alle decisioni, anche lavorative, assunte da Salvatore Rinzivillo e dagli altri imputati, molti dei quali regolarmente inseriti nei settori economici che secondo gli inquirenti sarebbero invece stati controllati dalla famiglia Rinzivillo. Tra i difensori degli imputati ci sono gli avvocati Flavio Sinatra, Giacomo Ventura, Riccardo Balsamo, Giovanna Cassarà, Boris Pastorello, Mirko Maniglia e Carmelo Ferrara.

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