L’amianto killer nella vasca 4 di raffineria, periti Eni: “Era compatto…operai non esposti”

 
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Gela. Hanno messo in dubbio non solo la ricostruzione dei pm della procura, ma anche quella del loro consulente tecnico. Per i periti di parte di Eni, l’amianto stoccato nella vasca 4 in raffineria non avrebbe rappresentato un pericolo, perché “non friabile ma compatto”. Sono stati sentiti davanti al giudice Miriam D’Amore, nel corso del dibattimento che si tiene contro Bernardo Casa, Rosario Orlando, Aurelio Faraci, Biagio Genna e Arturo Anania. Sono tutti accusati di aver avuto un ruolo nella presunta gestione irregolare della vasca trasformata in discarica di rifiuti industriali, praticamente a contatto con le aree dove si muovevano gli operai. Per i pm, anche la falda sottostante sarebbe stata compromessa. Conclusioni invece smentite dai due consulenti, secondo i quali gli imputati e l’azienda avrebbero proceduto secondo le norme in materia. “L’autorizzazione richiesta per ricoprire la vasca arrivò solo dopo dodici anni”, hanno spiegato. Per l’accusa, però, quella vasca non sarebbe stata adeguatamente gestita e i primi lavori di copertura sarebbero iniziati solo dopo l’esito di un’ispezione condotta dalla polizia giudiziaria. Tra i più esposti alle fibre killer e ai fumi delle sostanze industriali, almeno in base alla ricostruzione degli inquirenti, fu Vincenzo D’Agostino, dipendente Eni e per anni addetto al controllo di quella discarica. “Venne regolarmente formato – hanno spiegato ancora i consulenti – anche se non risultava esposto”.

Una versione del tutto difforme a quella che ha portato a processo gli imputati. Il pm Mario Calabrese, davanti a quanto sostenuto dagli esperti schierati da Eni, ha chiesto e ottenuto di sentire in aula il perito che venne nominato dai pm in fase di indagine. Quanto sostenuto dai testimoni è stato contestato dai legali di parte civile, gli avvocati Joseph Donegani, Davide Ancona e Giuseppe Laspina (parti civili sono anche gli avvocati Flavio Sinatra, Salvo Macrì e Ezio Bonanni). Gli interventi di Eni sarebbero stati tardivi, così ritengono, e non avrebbero impedito a tanti lavoratori di inalare le fibre d’amianto trasportate via dal vento, favorito da coperture inadeguate. Accuse che vengono respinte dai legali degli imputati, gli avvocati Grazia Volo e Gualtiero Cataldo. Parti civili sono invece il Comune, il Ministero dell’ambiente, le associazioni Ona, Aria Nuova e Amici della Terra e alcuni lavoratori esposti, compreso lo stesso D’Agostino. Sul giudizio, però, pesa il rischio della prescrizione, che maturerà entro l’estate, anche se il presidente D’Amore è intenzionata ad emettere il verdetto prima del termine già calcolato.

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