“L’arma a Di Giacomo”, dipendente comunale indagato: è stato sospeso

 
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Gela. E’ uno dei tanti episodi sospetti emersi durante la lunga indagine antimafia “Stella cadente”, che secondo gli investigatori ha consentito di venire a capo del gruppo della nuova stidda, guidato dai fratelli Bruno Di Giacomo e Giovanni Di Giacomo. Sarebbe stato un dipendente comunale cinquantanovenne a consegnare una pistola calibro 38 proprio a Bruno Di Giacomo. Ora, è stato sospeso. Pare che il provvedimento sia stato disposto, senza prevedere un termine per il ritorno in servizio. In base a quanto ricostruito, l’arma sarebbe poi stata usata dal presunto capo per minacciare gli allora gestori della discoteca “Malibù”. Dall’inchiesta è emerso che Di Giacomo potesse essere socio occulto del gruppo che aveva rilevato l’attività. Sia il giudizio ordinario sia quello abbreviato, scaturiti dalla maxi inchiesta antimafia, sono stati incardinati davanti ai giudici dei tribunali di Gela e Caltanissetta. Il cinquantanovenne, dipendente del municipio, è invece finito in un ulteriore filone, insieme ad altri presunti coinvolti, mai raggiunti però da misure di custodia cautelare. A sua volta è sempre rimasto a piede libero. Negli scorsi mesi, dopo che i funzionari dell’ente ricevettero indicazione di un suo coinvolgimento, venne disposto un primo provvedimento di sospensione, ma solo temporaneo. Il cinquantanovenne ritornò tra gli uffici del Comune. Sembrerebbe che gli investigatori abbiano chiesto di monitorare ancora la sua posizione, fino ad arrivare alla nuova sospensione. Il filone di indagine che lo vede coinvolto è stato chiuso sul finire dello scorso anno, ma a differenza di quelli principali, non è ancora stata fissata l’udienza.

A febbraio, sarebbe stato nuovamente sentito. Assistito dall’avvocato Nicoletta Cauchi, avrebbe spiegato di non aver mai fornito armi a Di Giacomo. “Dipendente del Comune di Gela solo in apparenza estraneo alla stidda”, così gli inquirenti lo definiscono negli atti. Nell’ordinanza si parla solo sporadicamente di armi, ma secondo i pm solo per evitare di esporsi. Avrebbero usato un linguaggio appositamente criptico. Fanno più volte riferimento a materiale da lavoro e a “tubi”. In base alle accuse, Di Giacomo, dopo aver usato la pistola per intimidire gli ex gestori del “Malibù”, l’avrebbe restituita al dipendente comunale. Non sarebbe mai stata trovata. Entrambi sono stati più volte intercettati.

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