L’ateo venuto dal passato

 
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Il 5 luglio scorso, per i tipi del progetto editoriale “Nessun Dogma”, è stata pubblicata la prima traduzione italiana di “Atheism: A Very Short Introduction” del filosofo inglese Julian Baggini, un libro uscito in lingua originale nell’ormai lontano 2003. Il sottotitolo fa riferimento alla collana di brevi introduzioni della Oxford University Press dedicate a tematiche specifiche, come ne esistono anche in Italia.
Che questo libro divulgativo agile, lucido e scorrevole appaia nel nostro paese a quindici anni di distanza dalla sua prima pubblicazione è quanto mai opportuno, considerato soprattutto il livello davvero infimo del dibattito pubblico sulla questione religiosa. Se si pensa che la nostra classe politica, ai suoi massimi livelli, è rappresentata da soggetti che giurano sul rosario o baciano l’ampolla col sangue di San Gennaro, il libro di Baggini può rappresentare un punto di riferimento per chi intenda ancora resistere intellettualmente con le armi della logica e della razionalità critica.
È interessante osservare che questo libro non è entrato nel novero dei grandi manifesti atei per una ragione contingente. In quell’epoca il suo autore era un trentacinquenne non molto noto nell’ambito della divulgazione filosofica e di lì a poco sarebbero usciti e si sarebbero imposti all’attenzione internazionale dei testi ben più densi e aggressivi, ormai diventati dei classici del cosiddetto “New Atheism” contemporaneo: “Trattato di ateologia” di Michel Onfray (2005), “L’illusione di Dio” di Richard Dawkins (2006), “Rompere l’incantesimo” di Daniel Dennett (2006) e “Dio non è grande” di Christopher Hitchens (2007), tutti subito tradotti in italiano, nonché “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” del nostro Piergiorgio Odifreddi (2007).

La razionalità dell’ateismo
Nei sei capitoli più conclusione del suo libro Baggini offre un ritratto della razionalità dell’ateismo, inteso come un modo di vedere il mondo che non ha in sé nulla di “negativo”, né in senso logico né in senso etico, trattandosi al contrario di un approccio “positivo” teso a promuovere i valori umani relativi alla moralità responsabile e alla conoscenza scientifica. In particolare, Baggini mostra innanzi tutto che l’ateismo soffre di un pregiudizio terminologico dovuto a una semplice circostanza storica: non è vero che l’ateo è solo uno che vive contrapponendosi a una religione istituzionalizzata, dal momento che è solo per un caso storico se alcuni uomini che cercano di orientarsi nel mondo seguendo il buon senso e cercando prove empiriche si trovano circondati da conspecifici parassitati da una qualche credenza religiosa che a un certo punto si istituzionalizza e definisce per negazione chiunque non si riconosca in essa. “A-teo”, così, è colui che, in un determinato contesto politico-sociale, non crede nel dio in cui credono tutti gli altri.
In tal modo, l’alone di negatività che circonda l’ateo assume anche un valore morale e diventa una sorta di marchio di infamia che ancora oggi rende difficile in molti paesi la vita dei non credenti. Ma si tratta di una mistificazione, perché l’ateo non ha nulla contro una particolare credenza religiosa; egli, piuttosto, cerca evidenze valide a favore di qualsiasi credenza e per lui il dio della comunità in cui vive ha lo stesso valore di qualsiasi altra entità introdotta senza prove accettabili della sua esistenza, sia essa una teiera spaziale, uno hobbit o il Prodigioso Spaghetto Volante.
Oltre a difendere la razionalità e la positività dell’ateismo (cap. 2 e cap. 5), confutando l’immagine dell’ateo diabolicamente mosso da una sorta di folle spirito di contraddizione, Baggini sfata almeno altri due miti che screditano gli atei presso la pubblica opinione. Il primo (cap. 3) è quello secondo il quale l’ateo, non credendo in un dio buono, non sarebbe in grado di darsi una morale. Niente di più falso, osserva Baggini: un’etica atea non solo è possibile, ma è l’unica etica possibile, dal momento che quelle fondate su dogmi religiosi sono condannate a un settarismo radicalmente anti-umanistico. Il secondo (cap. 4) è quello che identifica ateismo e nichilismo, per cui gli atei distruggerebbero qualsiasi idea di senso e scopo della vita umana. Anche qui Baggini fornisce delle ottime chiarificazioni concettuali e mostra non solo che l’ateismo non implica affatto il nichilismo ma che un senso e uno scopo forniti da un creatore esterno sono tutt’altro che desiderabili per noi.
Ci sono però due punti in particolare del discorso di Baggini che meritano di essere messi in risalto.

Il naturalismo non è un grigio eliminativismo
Un aspetto dell’ateismo sul quale Baggini insiste particolarmente nel primo capitolo è la sua contiguità con il naturalismo filosofico in senso lato. È falso, come spesso si tende a credere, che l’ateo sia nient’altro che un fisicalista eliminativista, cioè uno che pensa sia che esistano solo oggetti fisici sia che qualsiasi entità non fisica (come i pensieri e le idee) non esista in alcun modo. L’ateo, secondo Baggini, è un fisicalista naturalista secondo il quale esistono solo enti naturali. Ad essere escluse, dunque, sono solo le entità soprannaturali, non le entità non fisiche create per esempio dall’interazione tra i nostri cervelli e la realtà materiale, cioè, in questo caso, i processi mentali e i prodotti culturali. Su questo punto egli è chiaro e difende una visione pluralista che nulla ha a che vedere cin un grigio eliminativismo fisicalista: “la maggior parte degli atei crede che, sebbene nell’universo ci sia un unico tipo di materiale e si tratti di materiale fisico, da esso però derivano mente, bellezza, emozioni, valori morali – in breve l’intera gamma di fenomeni che arricchiscono la vita umana”.
Sebbene non lo dica, Baggini sembra qui dare per scontata l’esistenza almeno dei tre mondi di Popper, vale a dire di quello fisico-naturale (mondo 1), di quello dei processi psichici (mondo 2) e di quello culturale (mondo 3). E non è superfluo osservare che proprio il passo appena riportato sia il solo citato e discusso da Dawkins ne “L’illusione di Dio”. Si tratta dell’unica menzione del libro di Baggini in tutti quelli elencati sopra come responsabili involontari del suo quasi oblio; ed è una menzione rilevantissima, perché Dawkins (si veda la p. 24 della prima edizione italiana, Mondadori 2007) usa il passo di Baggini per chiarire cosa debba intendersi per naturalismo.

L’ateismo è una credenza che non è una fede
Uno dei paragrafi più interessanti del secondo capitolo è dedicato da Baggini alla decostruzione di una delle obiezioni più demenziali all’ateismo. È quando si dice (e lo dicono anche persone di intelligenza e cultura non trascurabili): ‘siccome sia l’esistenza che l’inesistenza di dio sono non dimostrabili, allora anche l’ateo crede per fede che dio non esista’. Baggini intanto rileva che una simile obiezione sarebbe lecito aspettarsela da un agnostico, e invece curiosamente è molto popolare presso i credenti, i quali, per coerenza, cioè se davvero prendessero sul serio la loro obiezione, dovrebbero immediatamente diventare agnostici. Si tratta di una variante della mossa retorica definita “ricorso al nucleare” da Stephen Law nel suo “Credere alle cazzate. Come non farsi risucchiare in un buco nero intellettuale” (2011), di cui ci siamo occupati in un precedente articolo di questa rubrica. Il problema, qui, è che si confondono cose molto diverse come le dimostrazioni certe e le credenze sostenute provvisoriamente da prove valide. È ben vero che tutte le nostre credenze sul mondo sono incerte e congetturali, ma questo non implica che esse siano tutte fondate su una sorta di fede religiosa. Ci sono gradi di conferma e “una prova è più solida se è verificabile da più persone in diverse occasioni e lo è meno se è circoscritta alla testimonianza di poche persone in un numero limitato di casi”. Ecco perché credere che l’acqua ghiacci a zero gradi (congettura ben confermata) è diverso dal credere che qualcuno sia risorto (presunto fatto noto, nella migliore delle ipotesi, sulla base del sentito dire), e non a caso Tommaso era scettico sulla resurrezione del proprio maestro, non certo sulla sua morte.
La fede, quindi, in quanto rivolta a “fatti” sostenuti di solito da prove aneddotiche e non riproducibili, non ha nulla a che vedere con la credenza dell’ateo, perché questa si basa non su dogmi ma su conoscenze controllabili pubblicamente e su quello che dal punto di vista razionale consideriamo una prova solida.

4 Commenti

  1. Innanzitutto credere negli impostori (vedi foto 1-2-3) non è fede in Dio, ma è creduloneria. L’ateismo (foto 4) è allo stesso modo delle altre tre, creduloneria nel nulla, ovvero credere che Dio non esiste. Uno che crede che Dio esiste lo fa per fede, uno che crede che Dio non esiste non ha fede nella non esistenza di Dio???? Lollo!

    “L’ateismo è il mortifero veleno della morale, spenta la quale la civiltà dei popoli si discioglie.” (Francesco Lo Monaco)

  2. ATEISMO
    «Credenza che nel principio non esisteva assolutamente nulla. E niente avvenne al nulla, finché magicamente il nulla esplose (per nessun motivo) creando ovunque tutto. Poi un ammasso del tutto, che era magicamente esploso, si ricompose autonomamente in frammenti autoreplicanti (assolutamente per nessun motivo) che si sono in seguito trasformati in dinosauri.»

    E poi si fanno beffe della nostra fede!

    • Fiera di essere Cristiana, l’evoluzione è stata dimostrata e sperimentata in laboratorio, non c’è alcun dubbio in questo e anche la chiesa non può fare a meno di accettarlo (parzialmente, almeno), pensare che le creature complesse derivano da un’entità ancora più complessa (di cui bisogna giustificare provenienza e quant’altro) è un mito sfatato da anni. In quanto sappiamo che i sistemi complessi derivano da quelli più semplici.
      Volerne il motivo, volere un motivo e un significato a tutto, è un comportamento infantile.

      La descrizione invece sull’origine dell’universo, non si differenzia molto da quella teologica moderna, in quanto la teologia semplicemente mette un ente in più alla fine (superfluo e contraddittorio, il primo rende inutile la sua ipotesi, la seconda la smentisce. (le contraddizioni di Dio (tipo l’onnipotenza) sono la dimostrazione, logica, della sua non esistenza)), un ente “magicamente comparso dal nulla” (la cui proprietà può essere ereditata dall’universo, rendendo Dio inutile.), “magicamente sempre esistito” (la cui proprietà, anche questa, può essere ereditata dall’universo, rendendo Dio inutile) che ha creato l’universo “senza alcun motivo”. (perché anche le motivazioni sono ulteriori costruzioni mentali, che non sono da dare per scontate)

      Per questo ci facciamo beffe della vostra fede. In quanto mette sempre un punto di assurdità, un Dio inutile e superfluo, che non serve a spiegare un bel niente se non a porre ulteriori problematiche.

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