“Leonessa”, depositate le motivazioni: undici condanne ma non c’era la stidda

 
0

Brescia. Undici condanne e cinque assoluzioni, che risalgono allo scorso maggio. I giudici del collegio penale del tribunale di Brescia hanno depositato le motivazioni, successive alla conclusione del dibattimento di primo grado, scaturito dall’inchiesta antimafia “Leonessa”. I magistrati, chiamati a pronunciarsi dopo una lunga e complessa attività istruttoria, già nel dispositivo letto in aula avevano escluso l’esistenza di un gruppo di mafia, riferibile agli stiddari gelesi, in grado di fare base nella zona bresciana. E’ stato invece confermato il sistema delle frodi all’erario, orchestrato anzitutto dal consulente Rosario Marchese, condannato a sedici anni e un mese di detenzione. Nelle motivazioni, vengono riportate le ragioni che hanno convinto il collegio a non riconoscere le contestazioni mafiose, confermate invece dalla Dda bresciana, con il pm Paolo Savio, che a conclusione della requisitoria aveva chiesto la condanna per tutti gli imputati. Con le motivazioni depositate, le difese degli imputati inizieranno a valutare i ricorsi in appello. Marchese, difeso dai legali Giampiero Verrengia e Valentina Aragona, nel corso del giudizio ha ammesso di essere dietro a gran parte delle frodi all’erario ma ha sempre negato di far parte dei clan di mafia. Il pm Paolo Savio, che condusse l’inchiesta, ha invece sostenuto che gli stiddari erano stati capaci di ramificare la loro azione criminale in Lombardia, sfruttando gli ingenti introiti delle frodi tributarie. Sette anni e otto mesi di reclusione sono stati decisi per Angelo Fiorisi, un altro imputato sul quale si accesero le attenzioni dell’antimafia bresciana. Per lui, difeso dai legali Flavio Sinatra e Desolina Farris, l’assoluzione è arrivata per dieci capi di imputazione e i giudici hanno escluso il ruolo di capo, che gli veniva addebitato dalla Dda. Il collegio ha inoltre disposto la scarcerazione. Fiorisi era detenuto proprio per i fatti del blitz “Leonessa”. Sette anni e quattro mesi di detenzione sono stati imposti alla professionista Antonella Balocco (difesa dagli avvocati Gianluca Marta e Oliviero Mazza). Per l’accusa, avrebbe avuto un ruolo nel sistema delle compensazioni e delle truffe tributarie. E’ stata assolta, invece, per altri sette capi di imputazione. Sette anni di detenzione ad un altro professionista, Corrado Savoia (assistito dai legali Deborah Abate Zaro e Oliviero Mazza), assolto per gli ulteriori sette capi di accusa. Quattro anni e otto mesi di detenzione è l’entità della pena imposta a Gianfranco Casassa (rappresentato dal legale Vito Felici). E’ stato invece assolto per quattro contestazioni. Quattro anni e sette mesi sono stati decisi nei confronti di Simone Di Simone, difeso dal legale Davide Limoncello. Per un altro capo di imputazione è stato invece assolto. Quattro anni e sei mesi per Giovanni Interlicchia (difeso dal legale Sinuhe Curcuraci), che è stato assolto per due capi d’accusa. Quattro anni sono stati decisi per la posizione di Giuseppe Arabia (assistito dal legale Mauro Sgotto), assolto invece per altri sei capi di imputazione. Due anni di reclusione, ciascuno, per Enrico Zumbo (difeso dai legali Domenico Peila e Maurizio Basile) e Alessandro Scilio (assistito dall’avvocato Roberta Castorina e assolto per un altro capo che gli veniva attribuito). Infine, un anno e otto mesi di detenzione è la pena imposta a Carmelo Giannone (difeso dall’avvocato Lara Amata e assolto per ulteriori due capi di accusa). I giudici bresciani hanno completamente assolto, con tutte le accuse cadute, Salvatore Antonuccio e Giuseppe Cammalleri (difesi dall’avvocato Giovanna Zappulla), Danilo Cassisi (assistito dal legale Giacomo Ventura), Matteo Collura (rappresentato dall’avvocato Angelo Cafà) e l’avvocato Roberto Golda Perini (assistito dal legale Stefano Bazzani). Anche nei loro confronti il pm Savio aveva chiesto la condanna, così come per gli altri imputati.

Riconoscendo gli illeciti tributari, il collegio ha anche deciso una maxi confisca di beni e disponibilità economiche, a danno degli imputati condannati per le indebite compensazioni. L’inchiesta “Leonessa” si concentrò sui flussi delle operazioni tributarie sospette e fece emergere l’esistenza di un gruppo in grado di “alleggerire” il peso fiscale di centinaia di aziende, imprenditori e professionisti, in cambio di laute consulenze e di percentuali. Per i giudici, come è risultato al termine del dibattimento di primo grado, non c’era la stidda dietro all’affare delle compensazioni. Davanti ai magistrati bresciani pendono altri due procedimenti scaturiti dalla stessa indagine. In uno di questi, sia in primo che in secondo grado, non sono stati individuati gli estremi delle contestazioni mafiose.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here