Gli ordini di Liardo dal carcere, i familiari in Cassazione: chiesto l’annullamento

 
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Gela. Hanno di nuovo respinto le accuse di essere dietro ad un presunto giro di droga ed estorsioni in città, che sarebbe stato orchestrato, dal carcere, dal quarantatreenne Nicola Liardo. Davanti ai giudici della Corte di Cassazione, i difensori di Monia Greco, Giuseppe Liardo, Dorotea Liardo e Salvatore Raniolo hanno chiesto l’annullamento dei provvedimenti emessi nei loro confronti, al termine dell’inchiesta “Donne d’onore”. Gli avvocati Flavio Sinatra e Davide Limoncello hanno escluso che i quattro si siano mai messi a disposizione di Nicola Liardo, per dare esecuzione ai presunti ordini che sarebbero arrivati dal carcere. I pm della Dda di Caltanissetta e i carabinieri, invece, ritengono che proprio i familiari di Liardo abbiano portato avanti i presunti affari, rifacendosi alle sue indicazioni.

L’inchiesta “Donne d’onore”. Gli investigatori hanno ricostruito contatti con i catanesi Salvatore Crisafulli e Maria Teresa Chiramonte, che avrebbero garantito le forniture di droga. Per le difese, inoltre, non ci sarebbe stata alcuna estorsione ai danni dei titolari di almeno due attività commerciali, ma si sarebbe trattato di rapporti legati solo a debiti pregressi e alla possibilità di assunzione per Giuseppe Liardo. La procura generale, comunque, ha chiesto di respingere i ricorsi dei difensori.

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