L’inchiesta sui Luca, Cassazione: “Riesame valuti memorie difensive non trasmesse da pm”

 
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Gela. Dovranno essere nuovamente i giudici del tribunale del riesame di Caltanissetta a valutare le posizioni degli imprenditori Salvatore Luca, Rocco Luca e Francesco Luca. I magistrati della Corte di Cassazione, come si legge nelle motivazioni rese pubbliche on line, hanno annullato le ordinanze emesse nei loro confronti dal gip del tribunale nisseno, al termine dell’inchiesta “Camaleonte”. Secondo i pm della Dda di Caltanissetta, i Luca avrebbero avuto rapporti costanti con i clan gelesi, catanesi e vittoriesi, mettendo a disposizione la liquidità delle società del gruppo di famiglia, attive nei settori della vendita di automobili e nell’immobiliare. Dopo gli arresti e la detenzione in carcere, il riesame gli aveva concesso il divieto di dimora nei territori delle province di Caltanissetta e Ragusa, dove la famiglia Luca ha i principali interessi economici. Una decisione che i legali di difesa hanno impugnato, ritenendo che non sussistano, anche sul piano delle misure cautelari, elementi per provare che gli imprenditori fossero a disposizione della mafia. Anche i pm della Dda di Caltanissetta, però, hanno proposto ricorso in Cassazione, ritenendo che ai Luca vada applicata la custodia cautelare in carcere, inizialmente imposta. I giudici romani hanno disposto l’annullamento prendendo in considerazione uno dei punti sollevati dai difensori (gli avvocati Flavio Sinatra, Antonio Gagliano e Alfredo D’Aparo). I pm della Dda non avrebbero trasmesso al gip memorie difensive, depositate in fase di indagine, che i legali dei Luca ritengono fondamentali per provare l’estraneità degli imprenditori alla dimensione criminale. Memorie che erano state depositate quando il filone d’inchiesta venne riaperto.

“Non può esservi dubbio, a parere di questo collegio – scrivono i giudici romani nelle motivazioni su rese pubbliche – che una volta presentate delle memorie difensive cui erano collegati documenti e verbali relativi a profili astrattamente suscettibili di mettere in crisi la ricostruzione dell’accusa, con riferimento tanto alla credibilità soggettiva e all’attendibilità di Angelo Bernascone, le cui dichiarazioni erano state ritenute così determinanti da giustificare, nella stessa prospettiva dell’accusa, la ripresa dell’attività di indagine, tanto al ruolo di vittima di ripetute estorsioni rivestito dall’indagato, in tesi incompatibile con la prospettata posizione di concorrente esterno, quel complesso compendio informativo avrebbe dovuto essere presentato dal Pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari, in maniera da porre quest’ultimo nella condizione di procedere alla attenta valutazione del contenuto di tale compendio”. Per le difese, le dichiarazioni rese da uno dei collaboratori di giustizia dovrebbero essere valutate sul piano della fondatezza. Puntano inoltre sul fatto che gli indagati e le loro attività imprenditoriali sarebbero state prese di mira dalle organizzazioni criminali. Piani per sottoporli ad estorsione emergerebbero anche dalle carte dell’inchiesta “Stella cadente”, che ha contribuito a fare luce sui nuovi assetti della stidda locale. Ora, i giudici del riesame dovranno ritornare sull’aspetto delle memorie difensive non trasmesse.

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