L’inventore dell’ascensore è un napoletano ma noi studiamo Otis

 
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"La sedia volante", ovvero il primo ascensore al mondo

Noi Italiani servili servitori ed esterofili per eccellenza, sappiamo ufficialmente che l’inventore dell’ascensore fu un grande scienziato e imprenditore americano chiamato Elisha Otis nel 1857, come per l’inventore del telefono senza fili l’ingegnoso americano Bell.
Solo in questi ultimi anni abbiamo saputo che ad inventare il telefono fu uno sconosciuto italiano di nome Meucci. Per l’ascensore, troviamo in alcuni testi la sedia volante, voluta da Luigi XV per farsi raggiungere in tutta segretezza, dalla sua favorita duchessa di Chateauroux, nella sua stanza da letto di Versailles.
Ma esaurito l’obiettivo, l’impianto fu rimosso dalla reggia dei Borboni di Francia. Nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II, che non aveva le stesse mire di Luigi XV, incaricò l’architetto Gaetano Genovese, che si avvalse della collaborazione dell’allievo Carmelo Garciulo per risolvere il problema della reggia di Caserta dove era necessario salire i 116 gradoni per raggiungere dal vestibolo inferiore quello superiore. Nel 1844 l’architetto, avvalendosi della Soprintendenza Generale della Real Casa risolse il problema, costruendo un proprio ascensore ante litteram, che chiamò sedia volante dal nome di quella francese chaise volante, con un preventivo di spesa di 3.335 Ducati da prelevare dal fondo della Real Casa.
L’esempio di questa invenzione non è l’unica nella Reggia di Caserta ma ne esistevano altri due, uno come tavola meccanica costruita da Francesco Collecini nella Real Tenuta di Carditello e un’altra realizzata da Giuseppe Venanzio Marvuglia nella Palazzina cinese di Palermo, non utilizzato per il trasporto delle persone ma delle vivande, questi inghiottiti dalle continue spoliazioni della Real Tenuta Agricola iniziata nel ventennio.
Così otto anni dopo queste invenzioni (1853), l’americano Elashe Graves perfezionò il sistema di sicurezza della cabina per impedire la caduta violenta al suolo in caso di rottura delle fune di traino, sistema rudimentale già progettato dal Genovese con minore garanzie. Nel 1857, l’americano installò a New York, in un negozio di porcellane a due piani, il primo ascensore a vapore per passeggeri e due anni dopo il Fifth Avenue Hotel fu il primo albergo a dotarsene. Lo sviluppo di questa invenzione si propaga velocemente in tutto il mondo per motivi diversi.
E quindi il mondo perpendicolare che vive muovendosi lungo gli edifici, nato alla corte di Napoli e soprattutto, nell’ingegnosa testa di Gaetano Genovese, progenitore del moderno ascensore (Angelo Forgione in Made in Naples) oggi ricordato come un normale architetto al servizio di un altro.

Le invenzioni dei meridionali cancellate.
I nostri colonizzatori nordisti, si divertono ad osannare gli stranieri per non considerare il meridione e allora gli inventori della bussola diventano i cinesi e non Flavio Gioia perché amalfitano, quindi meridionale, morto di fame e ignorante, come si legge nei testi scolastici obbligatori nelle scuole dell’obbligo. Non capisco perché volevano dimenticarsi di Meucci, che era un fiorentino, mentre si ripete la logica per l’architetto Gaetano Genovese che era nato a Eboli, vicino Napoli.
Sono molti gli esempi che possono essere ricordati e dimenticati dai tosco-padani che volutamente hanno voluto tramandarci l’ignoranza e la fame del popolo meridionale aiutati dalla cultura ipocrita e dalla politica ignorante venduta ad un sistema clientelare aberrante sotto tutti i punti di vista.
Cosa non è stata inventata nel Regno delle Due Sicilie dai Borboni? Eppure nel 1848 il Regno delle Due Sicilie era stato riconosciuto come lo stato più evoluto, più moderno. Più civile tra tutti gli Stati e staterelli d’Italia, compreso il grande stato Sabaudo.

La forchetta napoletana.
Le stesse posate, sconosciute nel medio evo e condannate dai Veneziani, quando nel 1003 furono portate da Maria Argyra di Bisanzio venuta a Venezia per sposare il figlio del Doge, il demoniaco oggetto fu messo al bando dai Veneziani. Solo nel XVIII secolo, sotto Ferdinando IV di Borbone che celebrò il matrimonio tra gli spaghetti e il pomodoro e in quell’occasione il re impose al ciambellano di corte di trovare una soluzione adeguata, Gennaro Spadaccini trovò la soluzione di accorciare i rebbi molto lunghi che erano solo due e di portarli a quattro per meglio attorcigliare gli spaghetti. Soluzione che convinsero il re e la regina Maria Carolina di educazione Asburgica molto rigida, perché “non poteva tollerare che il re consumasse gli spaghetti a sugo con le dita”, così il ciambellano di corte impose il nome alla forchetta Napoletana. Quando nel 1799 i francesi costrinsero il re Ferdinando e Carolina a trasferirsi a Palermo, portarono oltre i tesori Napoletani anche cibi. piatti e le famose forchette Napoletane. Gli esemplari della forchetta, esistono ancora a Napoli al Museo Nazionale della ceramica “Duca di Martina“ nella villa Floridiana, dove si possono ammirare le forchette a 2 o 3 rebbi di provenienza Francese o Veneziane vicino a quelle Napoletane a 4 rebbi attualmente in uso. Eppure ancora oggi, nei libri di testo utilizzati dallo stato Italiano, colonizzatore del sud, leggiamo chiaramente che il sud era povero sotto il regime feudale e incolto, ma nessuno degli storici ipocrita dice che l’emigrazione aveva raggiunto alti valori percentuali solo negli stati del nord Italia, particolarmente in Lombardia dove emigravano nel Messico, con Garibaldi in testa.

Il tentativo di deportare 15mila soldati meridionali.
Il governo Sabaudo, subito dopo l’unificazione voleva realizzare uno stabilimento penale in un’isola dell’oceano atlantico, nel Borneo o in Patagonia dove deportare gli ex soldati dell’esercito Napoletano. Operazione tentata con più stati Europei, ma mai riuscita, perché gli stati Europei erano meno barbari dei Tosco-Padani. Grazie all’Europa, se non siamo ad abitare un’isola sperduta nel mondo. Il tentativo inizia nel 1862 con il Ministro degli Esteri Durando, che contatta il Governo Portoghese per avere un’isola di Timo Est, nell’oceano Atlantico dove rinchiudere i soldati del governo Borbonico che si sono rifiutati di passare con il governo Sabaudo. Ottenendo un rifiuto, nel 1867 il Presidente del consiglio Menabrea contatta gli Inglesi per chiedere un penitenziario in Eritrea. Anche gli Inglesi si rifiutano e allora per dare termine alla “soluzione finale” si rivolgono al governo Argentino per farsi cedere una porzione di terreno in Patagonia per costruire un penitenziario capace di ospitare circa 15.000 prigionieri, ma il rifiuto dell’Argentina li costringe a rivolgersi al Bey di Tunisi, anche da questo ottiene un rifiuto. Allora Menabrea disperato dà ordine alla marina Sabauda di trovare un posto isolato, perché con l’introduzione della tassa sul macinato, la rivolta è più intensa. Per nostra fortuna, nemmeno la Marina trova dove collocarci, e per disgrazia del nord viviamo ancora nel meridione.

1 commento

  1. Garibaldi che emigra in Messico dalla Lombardia è in effetti uno spettacolo imperdibile: molto creativo, ma imperdibile. A proposito poi di ciò che non si racconta, non si racconta che un tentativo di fondare una colonia penale oltre oceano per deportarvi i prigionieri politici era stato già compiuto da Ferdinando II di Borbone, che a tal fine firmò col governo argentino il 13 gennaio 1857 una convenzione per “trasferire” nella provincia di Entrerios circa 1200 di essi. Il trattato non fu poi ratificato dall’Argentina e rimase dunque senza effetto.
    Un accordo simile, per testimonianza del ministro portoghese marchese di Loulè, era stato raggiunto sotto Ferdinando I nel 1819 anche con quel governo ma egualmente era rimasto privo di conseguenze. Un progetto di costituire una colonia penale nel Tigrai fu accarezzato ma non realizzato dal Cavour nel 1859.
    Le trattative per fondare una colonia penale sul modello francese a Timor (non a Timo!), in Africa, nel Borneo, in Argentina per trasferirvi i condannati per brigantaggio impegnò i governi del regno d’Italia per oltre dieci anni – la relativa documentazione è pubblicata nella serie dei “Documenti Diplomatici Italiani”: se qualche lettore è interessato posso fornirgli i precisi riferimenti bibliografici – nell’ambito della discussione sulla organizzazione e sulla efficacia del sistema penitenziario, ma inutilmente. Va precisato che nel 1862 i soldati dell’ex esercito borbonico erano già stati inquadrati nel nuovo esercito italiano.

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