L’onore dei partigiani e comunisti è salvo, la questione meridionale è una bufala

 
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Il vero volto di chi ha invaso il meridione d'Italia.

Gela. Rifacendoci agli storici, pennivendoli e prezzolati, sulla povertà del regno Borbonico, che mettono in evidenza a caratteri cubitali lo stato di miseria in cui versava il popolo duo Siciliano prima dell’invasione dei piemontesi. I ricchi uomini del nord, che mangiavano solo ed esclusivamente legumi, castagne e patate, mentre il latte era riservato alle famiglie più agiate che potevano comprarsi la polenta di granturco e quanto alla condizione dei contadini della bassa Lombardia, si definisce solo “Miseranda”, (fonti Franco della Peruta – editori riuniti 1973) e vivevano in case di pietra o tuguri dove mancavano spazi e luce, senza servizi e al freddo.

Ma dagli storici asserviti prima della colonizzazione, non avevano grande crescita economica e per svilupparsi così repentinamente, qualcosa si è innescata, subito dopo l’invasione del sud.

Vogliamo appunto fornire alcuni dati statistici per dimostrare la situazione dei due popoli, quello  del nord e quello del sud.

Al tempo dell’unificazione d’Italia, voluta dai patrioti nordisti piemontesi, con a capo Cavour, Garibaldi e i Savoiardi, nel 1861, dopo il falso plebiscito, il regno delle due Sicilie apportò al nuovo stato la somma complessiva di 443,2 milioni, su un totale di 668 milioni.

Lo stato più ricco fu la Romagna, Marche e Umbria con 55,3 milioni, la Lombardia con 8,1 milioni, il Ducato di Modena con 0,4 milioni, Parma e Piacenza con 1,2 milioni, Roma con 35,3, il progredito e ricco regno dei  Savoia con 27,0 milioni, la Toscana con 85,2 milioni e Venezia 12,7 milioni. Se si dovesse valutare obiettivamente la ricchezza delle regioni in funzione dell’apporto, il regno dei Borboni ha apportato quasi due volte in più di tutti gli stati messi insieme nel nuovo regno.

Questo, secondo i dati storici manipolati, però le cose non stanno così, perché secondo la storiografia ufficiale era il sud lo stato più misero dell’Italia di allora, che tutti i venditori di fumo hanno sostenuto fino ad oggi.

Valutiamolo secondo la popolazione e gli impiegati nel periodo fino al 1861.

Sommando gli impiegati dei tre settori produttivi dell’industria, commercio e agricoltura in Italia lavoravano complessivamente 11.538.083, e solo nel regno delle due Sicilie 5.091.680 su una popolazione del sud, in base al censimento del 1856 di 9.117.055.

Anche da questo punto di vista, la storiografia storica ufficiale continua a riportare delle falsità inesistenti con il sud misero e senza risorse.

La città con la maggiore popolazione era Napoli con 447.065 abitanti, mentre Torino (204.715) e Milano (186.109) raggiungevano appena i 200.000 abitanti quasi quanto Palermo 194.463, e poi Messina che superava i centomila abitanti.

Come si spiega che il regno delle due Sicilie avesse le città più popolose e grande numero di lavoratori nei settori commerciali più importanti?

Però i grandi storici e letterati hanno sempre considerato il sud lo stato più povero dell’Italia, mentre le altre regioni Italiane appena liberate dalle dominazioni straniere, fossero così ricche e laboriose da essere valutate le più ricche e progredite dell’Italia?

Come si spiega questo fenomeno di grande sviluppo dopo pochi anni della colonizzazione?

Cosa hanno fatto dei milioni sottratti e gestiti dai piemontesi?

Fino al 1860, il regno delle due Sicilie, godeva di privilegi importanti e le eccellenze pullulavano solo ed esclusivamente nel mezzogiorno d’Italia, che vantava nove milioni di medici sparsi al sud con un tasso di mortalità infantile tra i più bassi d’Europa.

Per un miracolo della natura dopo questa data fatidica, tutto cambia. Il nord spicca il volo, forse perché il Manzoni, gira al nord i voleri della sua divina provvidenza e il Francesco Saverio De Sanctis nei testi di letteratura scrive quello che vuole, in onore dei Savoia, bugie una dopo l’altra, visto che facevano parte del primo governo piemontese, e allora non mancano le lacrime di “Pianto Antico” di G. Carducci o della “Cavallina Storna” di G. Pascoli e cosi i meridionali con il pianto di “Rosso Malpelo” di G. verga, possono fare dimenticare tutti gli eccidi commessi dai piemontesi che loro,  uomini di cultura non hanno mai né visto né mai sono venuti a conoscenza dei fatti deprecabili.

Di questi misteri religiosi, noti ai soli grandi poeti risorgimentali, noi ancora oggi ci chiediamo il perché: Dove sono finiti i 5.000.000 milioni di lavoratori delle fabbriche dopo il 1860?

E le imprese dove lavoravano? 

Che strana coincidenza, molte imprese fiorirono al nord, ma pare che nemmeno un mattone delle imprese del sud sia stato trasferito al nord e nemmeno un centesimo della moneta aurea, il miracolo della sparizione sia avvenuto solo per la grande religiosità del Manzoni, come sosteneva lui stesso, “Dio perdona molte cose per un’opera di Misericordia” e le opere di misericordia sono il furto e l’uccisione:

questi sono stati i padri della patria che hanno fatto l’Italia con sacrifici enormi, aiutati dal Dio Manzoniano!

Come deve essere potente questo Dio Manzoniano che per più di centosessanta anni continua a sostenere il nord, facendolo crescere e progredire in tutti i campi dell’attività produttiva, tenendo il popolo del sud sotto il dominio della colonizzazione.

Certo questo Dio Manzoniano, deve avere grandi poteri.

Peccato che non tiene conto dei principi morali politici e religiosi, ma è legato solamente agli interessi personali, perciò ladro, farabutto e senza dignità.

Certo il silenzio imposto a tutta la cultura meridionale, per dimenticare la vera storia è riuscito perfettamente e come hanno tenuto lontano la storia delle foibe e dall’Istria per molti anni sono esempi di vigliaccheria storica, per non dispiacere i salvatori recenti:

Le foibe sono emerse, perché né ha parlato Gianpaolo Pansa (“sconosciuto 1945”), comunista convinto e nessuno della sinistra Italiana ha potuto sostenere il contrario, il caso della questione meridionale è più complesso perché coinvolge sia la destra che la sinistra storica, esiste un coinvolgimento storico generale, non come le foibe che hanno potuto scaricare le responsabilità solo sui partigiani comunisti Slavi di Tito. L’onore dei partigiani e comunisti Italiani è salvo e i mostri sacri continuano ad essere osannati e innalzati agli altari e allora possiamo stabilire il 10 di febbraio come data per ricordare i morti delle foibe.

I morti del meridione non possono essere ricordati perché la vergogna coinvolge tutti i governi di destra e di sinistra.

Noi ci auguriamo che il vero Dio prenda coscienza di questa realtà storica e venga a salvarci da questi luridi vermi oramai sazi di rubare e finalmente potrebbero dichiarare le loro responsabilità e stabilire una data per ricordare i nostri morti.

A noi vengono in mente alcuni nomi di brigantesse fucilate e denigrate, quale la brigantessa Filomena De Marco, Giuseppina Vitale, Maria Giovanna Tito, Marianna Oliveri, detta Ciccilla e tante altre fucilate assieme ai mariti briganti, per ricordare solo alcuni nomi del milione e passa, trucidati dal 1860 al 1870 dai nostri salvatori nordisti, ricchi di umanità cristiana e di religiosità Manzoniana.

 

Quando per umanità Manzoniana, intendiamo un coacervo di ladri, massacratori di popoli, stupro di vergine, saccheggio e ladrocini nelle chiese con i denigratori della vera storia, ci sfuggono altri aggettivi.

(fonte Antonino Ciano “I Savoia e il massacro del sud”).

1 commento

  1. Noto che la mia presenza in questo sito non è stata inutile se Maganuco ricopia, seppur malamente, citazioni da miei interventi precedenti. Registro che, assistito da “veri storici” continua a “revisionare” non solo la storia e la grammatica, ma anche l’aritmetica. La popolazione del regno borbonico gli risulta, secondo un mai avvenuto censimento del 1856 (la cifra è in realtà ricopiata dall’Almanacco reale delle Due Sicilie del 1857), di 9.117.050 (i cinque in più sono un altro errore), dei quali 5.091.680 occupati nei diversi comparti economici. Ma basta percorrere poche righe e 5.000.000 lavorano soltanto “nelle fabbriche” (e c’è da chiedersi chi si dedicasse alle altre attività) per poi chiudere trionfalmente con quasi l’intera popolazione, ben nove milioni, composta da medici “sparsi per il sud”. Sulla ricchezza alla data del 1860 avrebbe potuto leggere almeno un altro “vero storico”, N. Zitara, L’unità truffaldina, e-book consultabile in rete, pp. 162-163 per scoprire che quei dati sono sbagliati. Ma studiare costa fatica.

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