Mafia del Vallone, arrestati tre presunti affiliati a Sutera

 
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Caltanissetta. I carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta nell’ambito dell’operazione denominata “Repetita Iuvant” hanno tratto in arresto con l’accusa di associazione mafiosa Antonio Calogero Grizzanti, cinquantasei anni, ritenuto il rappresentante della famiglia mafiosa di Sutera, Salvatore Pirrello,

cinquantasette anni e Ambrogio Vario cinquantanove, a loro volta affiliati alla famiglia mafiosa di Campofranco.

Il provvedimento restrittivo si inquadra nella più ampia attività di contrasto condotta nei confronti di Cosa Nostra nissena e che, nei mesi scorsi, attraverso l’operazione “Grande Vallone”, ha colpito le strutture di vertice delle famiglie mafiose operanti nell’area del “Vallone”, documentando anche la composizione organica delle consorterie e gli interessi illeciti coltivati mediante l’infiltrazione negli appalti pubblici, nel mercato del movimento terra e delle forniture di materiali per le costruzioni, nonché nella gestione monopolistica di apparecchiature e macchine da gioco.

Determinanti le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Maurizio Carruba, le quali, oltre a fornire elementi in ordine al ruolo e alle condotte poste in essere dagli indagati nel corso del tempo, hanno consentito la ricostruzione di rilevanti vicende che hanno interessato il contesto associativo.  A conferma di tali accuse anche le dichiarazioni di Ciro Vara che ha dettagliato in maniera puntuale le vicende riguardanti gli arrestati e di cui ha avuto contezza nel corso della sua militanza in Cosa Nostra. In particolare, al Grizzanti è attribuita la responsabilità di aver rappresentato la famiglia mafiosa di Sutera, la quale, a seguito di una decisione dei vertici provinciali di Cosa Nostra risalente agli anni ottanta è tenuta a condividere nella misura del cinquanta per cento con la famiglia di Campofranco, i proventi estorsivi che ricadono sul proprio territorio.

Sulla scorta delle risultanze emerse, Grizzanti ha partecipato personalmente alle più delicate fasi della vita del sodalizio, come l’importantissima riunione che si è svolta a Serradifalco nel 1994, epoca in cui si ricostituirono gli organi di comando provinciale del sodalizio, e svariati altri incontri destinati a sancire le sorti della famiglia di Campofranco. Anche al Vario e al Pirrello è addebitata una partecipazione attiva alle dinamiche interne al sodalizio, specie con riferimento al primo, nell’adesione alle riunioni destinate all’attribuzione delle cariche o a dirimere controversie inerenti al rispetto delle regole associative.

Un fatto emblematico della pervasiva attività di controllo del territorio esercitata dalla famiglia mafiosa coinvolse lo stesso Vario allorché, per via di un furto in abitazione da lui subito, essendo risultati vani i tentativi della famiglia di individuare i colpevoli, il reggente della stessa deliberò una ritorsione violenta (incendio dell’autovettura) nei confronti di una persona da poco trasferitasi in zona, sulla base della sola coincidenza tra il suo arrivo a Campofranco e il furto.

La qualità di uomo d’onore, tuttavia, non valse all’uomo la possibilità di sottrarsi egli stesso al taglieggiamento posto in essere dagli membri del sodalizio, circostanza verificatasi alla metà degli anni novanta, quando la ditta di Vario aveva un cantiere a Santa Caterina Villarmosa per la realizzazione dei lavori di metanizzazione, presso il quale Lorenzo Vaccaro incaricò i fratelli Carrubba di compiere un atto intimidatorio, con l’intenzione di proporsi poi allo stesso Vario come intermediario, celandogli, dunque, le sue responsabilità, ma facendo apparire l’atto come proveniente da altri e lucrare somme anche da lui.

Dalle indagini, altresì, è emerso il profilo di Maurizio Carrubba la cui carriera mafiosa è sfociata nella sua formale affiliazione caldeggiata da Salvatore Termini sino a raggiungere l’apice con l’attribuzione della carica di reggente della famiglia.

Proprio questa funzione di vertice da lui svolta si colloca nelle vicende confluite nel procedimento “Grande Vallone”, che attiene ai flussi di comunicazione nelle province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta, ricostruiti sulla base delle lettere intercorse tra Bernardo Provenzano e Giuseppe Falsone (sequestrate nel covo di Montagna del Cavalli) e delle investigazioni compiute dal Ros nei confronti dei vertici provinciali nisseni. L’odierno provvedimento consente, infine, di far luce sulle modalità attraverso cui Angelo Schillaci riuscì ad ottenere la carica di rappresentante provinciale.

Tale carica di reggente servono anche a spiegare le dichiarazioni rese di recente da alcuni collaboratori di giustizia un tempo gravitanti, anche con ruoli di spicco, nella famiglia degli Emmanuello di Gela, secondo cui gli esponenti del sodalizio mafioso radicati nella parte sud della provincia (ed in particolare nei mandamenti di Gela e Riesi) non vollero riconoscere la leadership di Schillaci e si attivarono, anzi, per intessere alleanze che avrebbero potuto consentire a Daniele Emmanuello (all’epoca latitante) di ottenere la formale nomina alla reggenza provinciale. 

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