Mal-educazione sessuale

 
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Traggo occasione dalla notizia scandalosa di un professionista sorpreso a praticare sesso orale nei bagni pubblici della villa comunale di Gela per introdurre qualche breve riflessione sul portentoso tema della sessualità.  In un momento storico di proficuo fermento legislativo per il riconoscimento giuridico delle unioni civili e per il timido avvio alla pratica adottiva, anche a favore di coppie omosessuali, non stiamo certo qui a scandagliare gli aspetti moralistici della questione che attengono alla sfera intima e personale di ciascuno, se non fosse che per il luogo incongruo perchè “pubblico” prescelto dal malcapitato per dare libero sfogo a legittimi istinti primordiali.

E anche rispetto al luogo non appropriato a simili “gesta” avrei delle riserve stante l’applicazione del principio di “relatività” anche a situazioni così evidentemente riprovevoli per la collettività tutta.

A tal proposito mi viene spesso in memoria un episodio in cui l’espressione istintuale di sessualità è apparsa ai miei occhi esterrefatti così forte, irrefrenabile e vera che, sebbene manifestata in luogo pubblico, ha assunto, comunque, i crismi della purezza: mi riferisco, nello specifico, ad un barbone adagiato nel suo giaciglio-casa di cartone, situato davanti un famoso cinema di una nota piazza romana, sorpreso mentre si masturbava – immerso nel suo mondo immaginario e totalmente abbandonato al suo piacere – e tutto ciò sotto i lampioni del fragore di una notte capitolina; per quel barbone, infatti, quel luogo, prima ancora che “pubblico”, rappresentava la sua casa e risultava, pertanto, tollerabile che ivi soddisfacesse i suoi bisogni primari, tra cui rientra anche il sesso. Nascondersi dietro un cespuglio piuttosto che rifugiarsi in un bagno “pubblico” sarebbe stato senz’altro più disdicevole per la coscienza dei più.

Ho voluto riferirmi a questo episodio perché mi preme evidenziare, in questa sede, come la sessualità, nonostante pervada indubbiamente l’intero arco della nostra esistenza –dalla nascita alla morte- rimanga per la moltitudine un tabù di cui è meglio non parlare se non in termini scandalistici e con riferimento alla vita degli altri.

E’ un dato difficilmente negabile che una buona educazione alla sessualità aiuterebbe gli individui ad orientare scientemente le pulsioni più ancestrali evitando manifestazioni lascive spropositate e inopportune come quella che ha dato origine alla mia riflessione, sempre che possa trovare, in un campo così minato, una composizione ragionevole il binomio istinto-ragione atteso che, ad esempio per Sigmund Freud, è quasi impossibile conciliare le esigenze dell’istinto sessuale con quelle della civiltà.

Ma sono davvero così antinomiche le parole concettuali sesso e ragione? Avallando la visione prettamente femminile della questione, riportata da vari autori tra cui mi piace ricordare Isabel Allende, il vero organo sessuale sarebbe situato nel cervello, il quale senza stimoli appropriati, non darebbe impulso all’eccitazione.

Opinione diametralmente opposta ritroviamo in George Bernard Shaw secondo cui l’istruzione sulle questioni sessuali è altrettanto importante dell’istruzione sui cibi da mangiare anche perché attraverso essa si avvertirebbero i discepoli che può esistere la più potente attrazione sessuale anche tra esseri assolutamente incompatibili nei gusti e nei caratteri e ciò eviterebbe tanta sofferenza e tanta violenza che nascono proprio dall’impotenza di molte coppie di conciliare la vita “orizzontale” con quella “verticale”.

A parere di chi scrive, una cosa è, però, certa: educare alla sessualità significa educare alla vita perché la sessualità è la più vitale delle esperienze terrene; è quella “pulsione di vita” (Eros) che, per dirla con Sigmund Freud in “Al di là del principio di piacere” si contrappone alla “pulsione di morte” (Thanathos).

Ma sono davvero così contrapposte le due pulsioni che trovano peraltro origine nel pensiero filosofico greco di Empedocle secondo cui a regolare la vita esiste un dissidio cosmico tra le forze dell’amore e le forze dell’odio?

In realtà, sempre accordando Freud, la pulsione di morte si nutre della struttura mentale detta “coazione a ripetere” secondo cui lo psicotico tende a ripetere il fatto doloroso proprio con lo scopo di neutralizzarne il ricordo al punto che la ripetizione di tale pulsione darebbe origine ad un piacere asservito all’autodistruzione.

Portando quindi alle estreme conseguenze tale ragionamento potremmo tranquillamente affermare che i concetti di vita-morte sono strettamente connessi tra loro perché l’uno presuppone l’altro ed è funzionale allo stesso in un gioco a specchio continuo e costante; pertanto, se è vero che il sesso è espressione di vita, lo è altrettanto di morte.

Anche nella visione dell’arte di Egon Schiele vi è la morte insita nella vita, sin dal suo concepimento perché sin da questo istante la vita esprime il suo massimo compimento, racchiude in sé la parabola esistenziale, come attesta il funesto dipinto del 1910 “La madre morta”, che incornicia il presente scritto, in cui il  lugubre grembo della madre è anche la tomba del nascituro, in una sorta di passaggio immediato dalla “culla” alla “bara”.

Condivisibili o meno tali conclusioni, è lapalissiano che il sesso esprime la volontà della specie di proseguire la sua esistenza; esso, quindi, travalica l’egoismo individuale e si qualifica come “istinto di specie” prima ancora che come “istinto di godimento”, così come ci insegna Arthur Schopenhauer, il quale, però, arriva anch’egli a teorizzare il sesso come precursore di morte, legandolo indissolubilmente alla Genesi e al peccato originale.

Non sarà mica che il nostro professionista intento a fare una “fellatio” nel bagno pubblico della villa comunale desiderasse in realtà genuflettersi nell’ora dell’addio al giudizio clemente del buon Dio, non conoscendo affatto il suo sesso?

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