Malattie e industria, Di Paola rilancia la questione della zona franca sanitaria: 40 mila adesioni ad una petizione on line

 
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Gela. Se ne discute oramai da anni, ma fino ad ora la zona franca sanitaria

non è mai diventata realtà, soprattutto in aree ad elevato rischio ambientale, come quella locale.
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La zona franca sanitaria. La questione è già stata affrontata anche in municipio con le ultime due commissioni ambiente, quelle che si sono succedute con l’ex giunta Fasulo e con l’attuale del sindaco Domenico Messinese. Un tema adesso ripreso dal neo deputato regionale del Movimento cinque stelle, l’ex assessore comunale Nuccio Di Paola. Il deputato grillino, che la prossima settimana si insedierà ufficialmente tra i banchi dell’Assemblea regionale, la definisce un’urgenza. Insomma, a Palermo dovranno far presto a completare il decreto che istituisce le zone franche sanitarie che, almeno in linea teorica, garantirebbero facilitazioni ai pazienti di aree a rischio ambientale, nella gran parte dei casi quelle che convivono con l’industria.
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Il deputato grillino l’ha scritto anche sul suo personale profilo facebook, dopo aver rilanciato la questione nel corso di un incontro pubblico a Caltanissetta. “Ho ribadito l’urgenza di completare il decreto sulla zona franca sanitaria – scrive Di Paola – per avere a disposizione più soldi per la prevenzione nelle aree ad alto rischio ambientale. La sanità non è uno strumento della politica, ma dei cittadini”.

La petizione. Intanto, Orazio Mili, uno dei fondatori del Comitato familiari vittime del clorosoda, è riuscito a far toccare quota quarantamila firme ad una petizione, lanciata on line solo nelle scorse settimane. Mili, rivolgendosi al ministero della salute, chiede che i funzionari dell’Inail riconoscano il nesso causale tra l’esposizione all’amianto e i tumori che in troppi casi hanno colpito lavoratori della fabbrica Eni.
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Nella petizione, si fa soprattutto riferimento al tumore al colon. Mili, da anni, è impegnato su questo fronte, avendo anche dovuto patire la morte del padre Salvatore, ex operaio proprio dell’impianto clorosoda della raffineria Eni. Vicenda che ha dato vita ad un’inchiesta giudiziaria e ad un procedimento penale, per ora rimasto senza colpevoli.

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