Malformazioni, “possono esserci cause alternative all’industria”: no a ricorsi famiglie

 
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Gela. “Non può ritenersi che l’inquinamento ambientale dovuto alle attività del polo petrolchimico sia un fattore di rischio per le malformazioni congenite: dagli studi condotti a Gela non si ricava una frequenza maggiore di malformazioni rispetto alle popolazioni non sottoposte a tale rischio”. Il giudice civile del tribunale ha respinto le richieste risarcitorie avanzate dai legali dei familiari di almeno nove minori e di tre giovani, tutti affetti da gravi malformazioni. Il magistrato ha depositato le motivazioni. Circa quaranta pagine, nelle quali si fa una disamina, anche scientifica, dei singoli casi, senza però arrivare alla conclusione che le malformazioni siano da collegare direttamente all’inquinamento industriale di matrici, come l’acqua e il suolo. L’azione in giudizio è stata avanzata, nell’interesse delle famiglie, dai legali Giuseppe Fontanella e Luigi Fontanella, che con una vasta documentazione, scientifica e medica, hanno perorato la causa dei minori malformati, citando le società del gruppo Eni, ovvero Raffineria di Gela e Syndial. In base alle richieste avanzate, secondo i legali che hanno richiamato le conclusioni di perizie tecniche svolte anche su incarico della procura, sarebbe certa la correlazione tra queste gravi patologie e l’attività svolta nei decenni dall’industria pesante. Nel procedimento è intervenuto anche il pubblico ministero. Le conclusioni assunte dal giudice hanno invece escluso la correlazione tra le attività della multinazionale e i casi finiti alla sua attenzione. “Non si intende negare che il petrolchimico costituisca, come anche acclarato dalla consulenza tecnica nella parte che ha studiato gli impianti dello stabilimento, la maggiore fonte di pressione ambientale dell’area di Gela – si legge nella sentenza – e soprattutto la centrale termoelettrica, per quanto riguarda le emissioni atmosferiche. Si deve però rilevare che è possibile mettere in relazione le emissioni del polo industriale con le patologie sofferte dagli attori, solo se si escludono tutti gli altri fattori di rischio”. Da quello che emerge, quindi, secondo il giudice non è da escludere che il territorio locale possa risentire delle conseguenze di altre fonti di contaminazione, diverse da quella industriale. Al magistrato sono stati sottoposti molti casi, con giovanissimi affetti da malformazioni come la sindattilia, le schisi orali, quelle cardiache e del tubo neurale. Nelle motivazioni viene richiamato il piano di risanamento del Sito di interesse nazionale, attraverso lo studio conoscitivo dello stato dell’ambiente. Nella sentenza si ribadisce che “le fonti causali più significative di inquinamento vengono considerate gli insediamenti industriali, e in particolare il polo petrochimico; si precisa tuttavia – scrive ancora il giudice – “benché le principali fonti causali siano costituite dalle attività produttive del polo petrolchimico, i fenomeni di degrado rilevabili non sono tutti determinati da tali sorgenti puntuali, ma ad essi contribuiscono, in alcuni casi in modo determinante, anche altre tipologie di sorgenti di inquinamento”. In tale piano le principali problematiche ambientali vengono individuate, per quanto riguarda l’alterazione dello stato di qualità dell’aria, nella presenza del polo industriale ritenuto indubbiamente il fattore determinante per il degrado della qualità dell’aria, anche se si specifica che nell’abitato di Gela non sono stati evidenziati significativi superamenti dei valori limite normativi. Per l’inquinamento delle acque e la qualità delle falde si ritiene di non potere escludere fenomeni di inquinamento di tipo localizzato, soprattutto in corrispondenza delle aree abitate, dei terreni sottoposti a fertilizzazione e degli allevamenti zootecnici e si riscontra una contaminazione di origine organica dei corsi d’acqua superficiali.

Si considera inoltre “che le principali fonti puntuali di inquinamento nell’area sono pertanto prevalentemente di natura organica e di origine sia urbana che zootecnica. Le zone più critiche sono Niscemi e Butera, che scaricano tuttora le acque reflue nei corsi d’acqua circostanti”. Si conferma, così, la convinzione che il polo industriale non sia l’unica fonte di possibile contaminazione. I legali delle società Eni, a loro volta, hanno chiesto di respingere i ricorsi avanzati dalle famiglie. Dall’agricoltura intensiva agli scarichi dei Comuni più vicini, sono diverse le potenziali fonti alternative di inquinamento del territorio, riportate nelle motivazioni rilasciate dal giudice Strazzanti. Anche sull’abbandono dei rifiuti ci sono dei riferimenti precisi. “La contaminazione dei suoli viene considerata originata dalle attività di smaltimento incontrollato di rifiuti, dall’accertata presenza di residui di origine industriale, e dalle non corrette modalità di smaltimento di rifiuti urbani. Si rappresenta inoltre che l’area è interessata da un vasto e generalizzato fenomeno di abbandono di rifiuti di varia natura – indica il giudice nella sentenza – censiti 47 luoghi di abbandono abituale di rifiuti, e da concentrazione di aree utilizzate a fini estrattivi. Per quanto riguarda infine l’inquinamento e il degrado del suolo, i siti potenzialmente contaminati vengono individuati all’interno allo stabilimento Enichem, in una discarica autorizzata nell’area industriale di Gela e in una discarica del Comune di Gela”. Riportandosi alla letteratura scientifica in materia, il magistrato spiega che tra i pericoli principali per le malformazioni congenite ci sono “pesticidi, solventi e altre esposizioni non riconducibili al polo industriale”. Ci sono quindi “percorsi causali alternativi”, escludendo, come spiegato dai legali Eni (gli avvocati Lotario Dittrich, Cristina Grassi, Vincenzo Maria Larocca, Michele Bianco e Corrado Giuliano), che possa esserci una correlazione diretta tra le attività industriali e le gravi patologie registrate sul territorio, ad iniziare dalle malformazioni congenite. “Gli attori non hanno fornito specifici elementi da cui inferire il loro grado di esposizione a sostanze, riconducibili al polo industriale, con effetto teratogeno. L’ipotesi dell’assorbimento per il tramite della dieta, inalazione o contatto dermico, non esclude, già in linea teorica – si legge ancora nella sentenza – che tali modalità di esposizione abbiano per fonte di contaminazione altra sorgente, diversa dalle emissioni del petrolchimico, tenuto conto che non può escludersi la compresenza nell’area di Gela di altre fonti inquinanti”. Le richieste delle famiglie sono state infine respinte proprio perché il giudice spiega che “pur assumendosi che il petrolchimico abbia immesso nelle matrici ambientali sostanze aventi l’effetto di interferenti endocrini, non ci sono nella letteratura scientifica studi che avvalorino la tesi della correlazione tra tali sostanze e le malformazioni, e sussistono elementi concreti che impediscono di escludere percorsi causali alternativi”. Una ricostruzione che anche nel recente passato ha trovato spazio in altre decisioni dei giudici civili del tribunale, che a loro volta non hanno riconosciuto un nesso tra l’attività industriale e le patologie più gravi.

1 commento

  1. Ho letto con attenzione le motivazioni del Giudice, nel rispetto massimo della giustizia mi sento di dire che le motivazioni di rigetto sono così superficiali che sono sempre più convinto che questa città è stata martoriata dall’Eni e oggi ancora, chissà per quando, lo continua ad essere…. Dire che le ragioni delle malformazioni possono essere riconducibili alla spazzatura per strada fa inorridire la pelle. Chiedo al signor Sindaco che è stato sempre attivo ai temi ambientali che cosa ne pensa della sentenza, spero che il consiglio comunale tratti tale tema con urgenza e si ponga con durezza nei confronti di Eni.

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