Meridione colonizzato con coltelli e camorristi a capo dei seggi elettorali

 
1
La copertina del libro "Palermo 1815 1860" di Augusto Marinelli

Gela. Abbiamo letto il testo “Palermo 1815-1860” del professore Augusto Marinelli e, con nostra grande sorpresa, apprendiamo che l’autore si muove alla stessa logica degli scrittori finanziati dal governo inglese per denigrare il regno Borbonico pre-unitario. Regno colonizzato dai piemontesi. A Palermo, come in molte parti della Sicilia, mancava una classe operaia specializzata e scuole in grado di fornire manodopera qualificata alle imprese e, secondo dati forniti dallo studioso Marinelli, la manodopera specializzata, proveniva da Napoli, Livorno, Milano e perfino dalla Francia e dalla Svizzera. Noi aggiungiamo anche da Torino e da Genova (visto che le fabbriche specializzate esistevano solo nel nord dell’Italia progredita e all’avanguardia del mondo economico dell’epoca). Il prof. Marinelli, oggi fa finta di non conoscere autori come Michele Vocino, De Sivo, Angelo Forgione, Giordano Bruno Guerri, Antonio Ciano, Nicola Zitara e tanti altri ricercatori corretti che si sono prodigati a mettere in evidenza le difformità esistenti tra nord e sud fino al 1860. Cita autori come Rosario Romeo o Mario Rizzari, esponenti della cultura democratica e progressista catanese allora convinti che “un pesante disagio economico e sociale affligge sia i lavoratori che i proprietari delle industrie esistenti nell’isola”. Di corbellerie il prof. Marinelli, né ha raccontate tante, ma quelle scritte nel libro “Palermo 1815 1860”, raggiungono vette eccelse. Che il Regno delle Due Sicilie, fosse tra gli stati Italiani fino al 1860, quello più all’avanguardia dell’Italia di allora non è stato smentito da nessuno, tranne dagli studiosi prezzolati e venduti al potere dominante, particolarmente se si tratta di studiosi meridionali, proiettati a raggiungere vette estreme alla guida di questa Italia, mai unificata e ridotta a serva dell’Europa con più di 5 milioni di poveri, senza possibilità di sviluppo.
Il regno delle due Sicilie, prima della colonizzazione, eccelleva in tutti i campi dell’attività produttiva, economica e sociale. Infatti, i primati fieristici, industriali, navali, ferroviari, culturali di vario tipo, appartengono al regno dei Borboni. Dopo l’unificazione, a cominciare dal governo di Cavour, tutto cambia e nelle elezioni che si svolsero all’inizio del 1861 con i due partiti di maggioranza capeggiati da Cavour e Mazzini provocarono un caos politico tremendo. Una legge elettorale che permetteva di rappresentare 20.000.000 di italiani a solo il 2% della popolazione votante, aiutata dai coltelli e dalle bastonate, avendo come capi dei collegi elettorali solo i camorristi d’Italia.
Cavour voleva che gli eletti approvassero le sue idee, Mazzini li voleva vicini alle sue idee repubblicane e la lotta fu tremenda. Il Mazzini utilizzava Garibaldi e il Cavour aveva D. Liborio a Napoli e La Farina in Sicilia, a cui faceva pervenire denaro a cassette. Nel trambusto Cavour riuscì a fare eleggere Urbano Rattazzi presidente, suo acerrimo nemico fino dal 1848. I vari governi che si sono succeduti hanno avuto un solo obiettivo rendere il meridione sempre più povero, senza possibilità di sviluppo e tutti i grandi economisti, particolarmente meridionali, hanno trovato i cardini essenziali per ottenere questo risultato: un primo elemento è stato quello di trasferire tutte le banche ed assicurazioni al nord, in poche parole tutta la raccolta del risparmio nazionale. Finalmente l’hanno raggiunta chiudendo, a conclusione, il banco di Napoli, il banco di Sicilia, le casse centrali di risparmio e società di raccolta fondi, tranne le banche di credito cooperative, non ritenute pericolose, ma ultimamente abbiamo sentito una proposta del governo Renzi di trasformarle in spa per permettere alla grosse strutture del nord di incorporarle;
Un secondo punto fu la costruzione delle infrastrutture, per permettere la circolazione veloce delle merci, raggiunta sempre scippando il sud e chiaramente costruendo rete stradali e ferroviarie importanti;
Un terzo punto è costituito dalla costruzione e utilizzo delle eccellenze sempre al nord, raggiunto senza nessuna opposizione dei meridionali. Ottenuti questi risultati, possono continuare a dire che siamo un popolo che si piange addosso, senza schiena dorsale e impegnato ad aspettare che il frutto caschi maturo dall’albero per raccoglierlo senza fatica. La teoria della massima occupazione Keynesiana, può essere applicata, basta conoscerne le regole. I nostri scrittori, pensatori e politici, sono preoccupati di altro e non trovano il tempo per dedicarlo alla soluzione di questi problemi, sono interessati ad emergere per fare carriera e letteralmente se ne fregano del prossimo e del meridione in particolare.

Oggi, presentare un testo sostenuto da scrittori meridionali, nemici dei Borboni, per giustificare l’invasione dei piemontesi, è semplicemente puerile e significativamente strumentale. Il de Sivo chiarisce in maniera incontrovertibile che gli Inglesi sono stati i promotori e finanziatori di tutti i moti rivoluzionari, capeggiati da una giovane classe aristocratica, con italiani importati, (vedi i fratelli Bandiera, Giuseppe Mazzini “profeta di Maometto”) che avevano un solo obiettivo: abbattere le monarchie costituzionali europee dopo la rivoluzione francese. La classe dirigente meridionale, che emerge e raggiunge vette agognate, ha dovuto sostenere che la Q.M. non esiste, che la colonizzazione dei piemontesi è una invenzione dei nostalgici dei re Borboni e il tutto resta una invenzione di uomini che contestano l’unificazione dell’Italia per motivi solo ed esclusivamente personali. Oggi smantellare queste posizioni è arduo perché i meridionali hanno assimilato gli insegnamenti della propaganda di tutti gli uomini al di là del Vesuvio che imbevuti delle belle parole dell’unificazione dell’Italia, voluta dagli italiani figli del romanticismo, non si permettono di contestare posizioni radicate da più di 150 anni. Continuiamo a vivere nella ipocrisia totale per non dispiacere un nord così laborioso che ci permette di vivere nell’ignoranza e nella fame, purché non accenniamo minimamente di toccare quelli che sono i principi di questo predominio di controllo assoluto del sud.
Chi sveglierà il popolo meridionale da questo torpore? Sicuramente non lo farà il testo dello scrittore Marinelli “Palermo 1815 1860” l’economia pre-industriale di una ex capitale. E dopo l’unificazione, non prima dell’unità d’Italia, perché allora Palermo era stata la capitale del regno delle due Sicilie, prima del trasferimento della sede a Napoli e degli Arabi, che hanno lasciato seghi meravigliosi di civiltà e cultura a Palermo. Il prof. Augusto Marinelli che si dichiara disponibile a rispondere a tutte le nostre domande, non si chiede perché il meridione dopo l’unificazione non progredisce? Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia erano banche di interesse nazionale, che avevano una tradizione superiore al monte dei Paschi di Siena (se vuole i dati sono nelle condizione di fornirli) che emettevano carta moneta fino a poco tempo dopo l’unificazione poi spariscono dal mondo economico? Perché le infrastrutture si costruiscono solo al nord e in Sicilia si costruiscono le prime reti ferroviarie ad opera dei piemontesi? Rete ferroviarie ormai chiuse definitivamente. Forse per il fatto che il meridione, come asserisce Nicola Zitara, era rimbecillito? Perché nessuna eccellenza viene proposta al sud forse perché rincoglionito? Sempre come asserisce Zitare? o forse perché il nord eletto da Dio Suo preferito sboccia in ogni attività economica, culturale, scientifica e produttiva?

1 commento

  1. Vedo che Maganuco, non potendo contestare uno solo dei dati che fornisco nel mio libro, ricorre ai suoi soliti insulti in uno sproloquio che dimostra, purtroppo, soltanto come non possieda neppure le più elementari cognizioni storiche. Mi spiace di aver perso tanto tempo a correggere gli innumerevoli errori dei suoi articoli per rispetto dei lettori del “Quotidiano”. Ovviamente a questo punto non ho intenzione di continuare. Gli ricordo però che dare del “prezzolato” ad uno storico al bar con gli amici può essere divertente, scriverlo su un giornale è diffamazione.

Rispondi a Augusto Marinelli Cancella la risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here