“Meridionali, popolo ricco di storia che ha stupito prima dell’invasione piemontese”

 
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Immagine di copertina del libro "Primati del Regno di Napoli" di Michele Vocino

Gela. Nel precedente articolo abbiamo accennato ad alcuni primati del Regno delle Due Sicilie oggi, continuando a ricordare gli scritti di Michele Vocino, trattiamo delle ricchezze del nostro sottosuolo. La nostra Sicilia, in particolare, fin da tempi molto remoti, ha tratto dal sottosuolo delle grandi ricchezze che sono state valorizzate dai Borboni e che l’Unità d’Italia, con accorgimenti particolari, degni di un popolo colonizzatore, si è prodigata a fare sparire, sempre per giustificare la tesi sostenuta di un meridione povero e non abituato a lavorare, pedissequamente in attesa del sostentamento per vivere dei ricchi e laboriosi uomini del nord.
I primi accenni di grotte scavate si hanno nel XII secolo che coincide con l’invenzione della polvere da sparo e il progresso della chimica con la produzione industriale dell’acido solforico. Scriveva il Ferrara nel 1838, nella storia generale dell’isola, che la produzione dello zolfo si era ridotta moltissimo ed era in uno stato di abbandono quasi totale ma nel 1832, le premurose ricerche fatte dall’estero, portarono la produzione a livelli elevati.
Si sono scavate molte miniere che permisero un progressivo aumento della produzione dello zolfo, sostenuto dai re Borboni. Questo incremento continuò a progredire fino a quando all’impiego industriale si associò l’impiego per l’agricoltura e i centri di importazione erano: Livorno, Barcellona, Madrid e il Regno Unito, dove sorsero grandi fabbriche di acido solforico e di soda.
Il 10 luglio del 1838 fu stipulato un contratto tra il governo Borbonico e la società “Taix Aycard et Ce” che si obbligava per 10 anni di acquistare zolfo siciliano per un totale di 600.000 cantàri annui ad un prezzo prestabilito che fece protestare il governo Inglese energicamente tanto che il re Borbone, per amore della pace e con il consenso del re di Francia, sciolse il contratto il 21 luglio 1840.
Con l’incremento dell’uso agricolo, per sopperire le richieste, si uni alla produzione della Sicilia quella della Calabria e di Avellino, scavati in piccole quantità.
Altre miniere di ferro furono attivate in Calabria presso Pozzano, prodotto che veniva lavorato nelle ferriere di Mongiano e Ferdinandea, anche le ricerche di carbone fossili furono tentati dai re Borbone e il Petrocchi riporta che, nel bilancio del 1856, furono stanziati per le ricerche del bacino carbonifero 1.200.000 Ducati-
Fu trovata lignite, litrancite nei Comuni di Gioia e Lecce.
Nel comune di Gaeta si trovò la lignite, l’antracite e il talco.
Alla lignite di Agnana si aggiunge per qualità quella di Tropea, di Abruzzo, del Marrone e tante altre indicazione di località di carbone fossile anche se erano rimaste sepolte.
Furono fatte segnalazione di idrocarburi fin dai tempi dei Borboni nelle valli del Pescara, per trasportarli verso Arce e Roccasecca e a San Giovanni Incarico presso Caserta, buona quantità di bitume naturale, fu trovato tra i monti di Frosinone a Castro e in Abruzzo a Rocca d’Arce e a Roccasecca.
Bitume che in parte veniva usato nel Regno e in parte esportato all’estero. A Favara in Sicilia, furono trovati solfati stronziana pesanti come il piombo dicevano e il geologo Napolitano asseriva che i marmi trovati nella zona del Gargano erano i migliori in assoluto, mentre i giacimenti di alabastri, sempre sui monti del Gargano non avevano rivali e invece si considerano scarsi quelli trovati in Sicilia.

Dopo le colorite citazioni di Seneca e di Vitruvio sulla bellezza dei marmi di Pozzuoli, ci piace ricordare il pensiero dello stesso Vocino: “e tutto questo sta a dimostrare quando infondata sia l’insinuazione sulla pretesa apatia dei meridionali e sulla colposa arretratezza industriale del sud prima dell’unità”.
Tutto è possibile dire del sud:: si tratta di uomini che non hanno mai voluto lavorare, abituati a bivaccare in attesa delle elemosine, della incultura, della sua arretratezza, dei briganti, della mafia, dell’ignoranza e di quant’altro il popolo colonizzatore del nord si sia potuto inventare. Ma dal ricercatore Vocino ogni cosa detta è strumentale e serve a screditare il popolo meridionale ricco di storia millenaria, di inventiva dedicato al lavoro che ha sempre stupito la cultura straniera prima dell’occupazione dei piemontesi. Oggi ricordiamo quel giorno funesto del 3 gennaio 1862 quando a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani venivano fucilati i 5 contadini e il parroco Don Benedetto Palermo e tra questi la bambina di otto anni Angelina Romano dal colonello Pietro Quintino agli ordini del generale Covoni.
Il colonnello pluridecorato da Vittorio Emanuele II re dei Savoia e dell’Italia unita, senza scrupoli e dignità di uomo, faceva fucilare la piccola Angelina perché piangeva di fronte a tanto scempio.
Lui, ligio al dovere, uccideva in rispetto alla legge Pica, maestosa invenzione sovrumana piemontese, la legge sulla leva obbligatoria imposta al mezzogiorno e ancora oggi il nostro concittadino Presidente della Repubblica Italiana, Mattarella, va a piangere sulle fosse Ardeatine e non solo non si vergogna, ma spudoratamente si presta a recitare quella farsa degna delle persone più disoneste dell’universo.
Ecco i nomi dei briganti Siciliani trucidati quella mattina freddolosa di Castellammare:
Don Benedetto Palermo di anni 43;
Mariano Crociato di anni 30;
Marco Rondisi di anni 45;
Anna Catalano di anni 50;
Antonio Corona di anni 70;
Angelo Calomia di anni 70;
Angelina Romano di anni 8 che onore per i nostri liberatori nordisti in nome dell’unità dell’Italia spaccata in due!
(fonte: Michele Antonino Crociata La rivolta contro i “Cutrara” a Castellammare del Golfo).
Certo accennare garbatamente ai potentati del nostro governo non è assolutamente piacevole, ma mi chiedo: come possiamo definire personaggi onesti chi non riconosce i propri genitori?
La propria storia cancellata spudoratamente dai piemontesi, nostri colonizzatori? Noi per più di 150 anni non abbiamo fatto altro che innalzare agli altari uomini che hanno tradito la nostra patria, cancellata la nostra dignità di esseri umani, massacrato il nostro popolo senza alcun rimorso, anzi li onoriamo innalzando statue e assegnando strade delle nostre città, in nome della libertà e del potere, direi, chiaramente.
Portiamo a conoscenza dei nostri lettori un documento tratto dagli archivi di stato Italiano che interessa il nostro Salvatore Aldisio che battezzò Sergio Mattarella, figlio dell’amico Bernardo e che nel 1924 fu eletto deputato, ma decadde nel 1926 per aver preso parte alla protesta aventiniana:
Un messaggio del Duce ad Aldisio.
Un appartenente alla 5 colonna repubblicana fascista, ha testè consegnato al nostro Alto commissario il seguente messaggio:
“Caro Aldisio, ho notizia dell’azione ferrea che svolgi nel centro geografico del nostro perduto impero. Riconoscendo le tue benemerenze, ho disposto ti venga concesso l’onore della tessera di anzianità dal 1922. Tira dritto. Tieni duro. Vedrò poi per la sciarpa littorio. Al mio ritorno avrai un portafoglio, forse quello delle Colonie, poiché la Sicilia è l’unica colonia che ci resta. Grazie dell’ospitalità che dai ai miei fidi nel Partito Democratico Cristiano. – A chi fa Sicilia? A noi!.
f.to Mussolini
Manca la data di riferimento ma possiamo accertare che si tratta del 1943.
Aldisio, nel 1943, assieme a Giuseppe Alessi e Bernardo Mattarella, ( a Caltanissetta nello studio di Alessi) fondavano il partito della Democrazia Cristiana, contemporaneamente, però, sosteneva i partigiani e in perfetto accordo con De Gasperi, Luigi Sturzo e con il potente stato Americano condannava con tutti i mezzi le istanze di separatismo dei siciliani.
Tutti atti valorosi e degni della massima considerazione, perché fatti, non per il potere, ma per liberare il popolo siciliano dalla schiavitù e dalla fame, così come hanno sostenuto gli uomini del nord, anch’essi impegnati a liberarci, non so di quali mali atroci, senza considerare il male peggiore arrecato dai piemontesi e avallato ipocritamente dalla cultura al potere (la colonizzazione del mezzogiorno).

2 Commenti

  1. Facciamo qualche precisazione almeno sulla produzione e il commercio dello zolfo. La produzione dello zolfo siciliano comincia ad accrescersi già sul finire del Settecento, spingendo molti proprietari all’apertura di nuove miniere. Proprio il Ferrara – il naturalista, da non confondere con l’economista omonimo – scriveva che nel territorio di Girgenti “le miniere di solfo sono così abbondanti che si dice in tutto il territorio trovarsene una in ogni sito nel quale si discava…” (Guida dei viaggiatori agli oggetti più interessanti a vedersi in Sicilia, Francesco Abbate, Palermo 1822, p. 195). Negli anni Trenta dell’Ottocento la richiesta sui mercati francese ed inglese aumentò considerevolmente, e dunque anche la produzione e l’esportazione ebbero un’impennata senza alcun sostegno del governo napoletano. Nel 1832 se ne esportarono cantaja 495.769, di cui 40870 da “Terranova” (suona familiare?); l’anno seguente l’esportazione raggiunse cantaja 676.413, e ben 76.574 partirono da Terranova. Il contratto con la “Taix, Aycard e C.” fu promulgato il 10 luglio 1838, ma era stato firmato il giorno prima. Si rivelò però così disastroso nella sua applicazione che Ferdinando II diede disposizioni il 22 febbraio 1840 perché venisse sciolto. Come e perché lo scioglimento formale si ebbe solo il 21 luglio dopo una trattativa condotta con il governo francese, e quali danni quell’accordo provocasse all’economia siciliana, è cosa troppo lunga e complessa per trattarne in poche righe. Poiché proprio alla questione degli zolfi è dedicato il mio prossimo libro, profitto della circostanza per dare ai lettori almeno una informazione inedita. Dal 22 maggio 1839 al 24 febbraio 1840 da Terranova salparono 22 navi cariche di zolfo per un totale di cantari 49571: di esse 13 battevano bandiera siciliana, 6 erano inglesi, 2 francesi, una austriaca. Terranova si confermava dunque come uno dei principali centri commerciali per l’esportazione di zolfo malgrado non avesse un vero porto e le merci dovessero essere trasportate a bordo delle navi ferme in rada con le barche.
    Su tutto il resto, non intervengo neppure.

  2. Sono costretto a rubare ancora qualche secondo ai lettori del “Quotidiano di Gela” perché la sciatteria – per non dir peggio – di certi storici del sabato sera è veramente incredibile: 1. il “Mariano Crociato” citato nel testo era una donna e si chiamava Marianna Crociata, così come una donna era “Angelo Calomia” che si chiamava Angela Calamia. 2. Il cognome di “Marco Rondisi” era Randisi. 3. La legge Pica emanata il 15 agosto 1863 non poteva essere ovviamente applicata nel gennaio 1862. 4. “Covoni” è ovviamente “Govone”così come “Quintino” si chiamava “Quintini”. 5. Sulle circostanze della tragica morte di Angelina Romano non è rimasta alcuna testimonianza, salvo l’indicazione della data e del luogo in cui venne uccisa: proprio per rispettare quella bambina, sarebbe bene evitare di ricamarci sopra per finalità che non voglio indagare.

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