Morte Fecondo, fissato appello: imprenditore ha impugnato la condanna

 
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L'operaio Giuseppe Fecondo morì dopo l'incidente sul lavoro

Gela. Morì per le gravi ferite riportate dopo la caduta dal tetto di uno dei capannoni della zona industriale ex Asi di Brucazzi. L’operaio sessantaquattrenne Giuseppe Fecondo spirò all’ospedale “Vittorio Emanuele”. Lo scorso gennaio, per quei fatti, in primo grado è stato condannato l’imprenditore Davide Catalano, titolare della Cimet, azienda che aveva ingaggiato Fecondo. L’operaio arrivava da una lunga esperienza nell’indotto della fabbrica Eni. E’ stato fissato il giudizio di appello. In aula, si andrà ad ottobre. La difesa di Catalano ha impugnato la condanna. Al termine del dibattimento di primo grado, l’imputato è stato condannato ad un anno e sei mesi di detenzione, con la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale riconosciuta ai familiari della vittima, per un ammontare di 30 mila euro. Alle parti civili è stato riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni. Secondo gli investigatori, sarebbero mancate le necessarie misure di sicurezza, anche quelle che avrebbero potuto evitare o attutire le conseguenze dell’incidente. Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’imprenditore avrebbe cercato di mutare lo stato dei luoghi, che poi si presentò agli investigatori. La difesa, sostenuta dall’avvocato Fabrizio Ferrara, ha invece respinto le contestazioni, sostenendo che nell’area dei lavori, che sarebbero dovuti partire per collocare pannelli fotovoltaici, c’erano tutte le condizioni previste dalle norme.

Il legale, invece, ha sollevato più di un dubbio sull’operato dei medici dell’ospedale “Vittorio Emanuele”, dato che Fecondo sarebbe comunque arrivato nel nosocomio, ancora vigile. I legali della famiglia della vittima, gli avvocati Rosario Giordano, Giacomo Di Fede e Cristina Guarneri, hanno ribadito che sarebbero mancate le misure di sicurezza, sostenendo la linea dei pm. Hanno spiegato, nel giudizio di primo grado, che si cercò di risparmiare sulla prevenzione. Ricostruzione respinta dalla difesa, che ha anche escluso qualsiasi tentativo di alterare le condizioni del luogo di lavoro. L’imprenditore, secondo quanto indicato dal legale, rimase vicino a Fecondo anche in ospedale. In primo grado, era stata chiesta la condanna della Cimet, al pagamento di mille quote. Il giudice ha però disposto l’assoluzione, così come concluso dal difensore, l’avvocato Francesco Giocolano.

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