Morte Fecondo, partito giudizio di appello: “Confermare condanna ad imprenditore”

 
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L'operaio Giuseppe Fecondo morì dopo l'incidente sul lavoro

Gela. La condanna, pronunciata in primo grado nei confronti dell’imprenditore Davide Catalano, titolare della società Cimet, va confermata. La richiesta, davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta, è arrivata dalla procura generale. L’imputato è accusato di omicidio colposo, per i fatti che portarono alla morte dell’operaio sessantaquattrenne Giuseppe Fecondo. Precipitò dal tetto di un capannone, in contrada Brucazzi, mentre effettuava, per conto della Cimet di Catalano, primi interventi finalizzati all’installazione di un sistema fotovoltaico. Le ferite riportate dalla vittima, da poco ingaggiato, si rivelarono fatali. La difesa dell’imprenditore, sostenuta dall’avvocato Fabrizio Ferrara, ha impugnato la condanna di primo grado, rivolgendosi ai giudici di appello. Al termine del dibattimento di primo grado, Catalano è stato condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale riconosciuta ai familiari della vittima, per un ammontare di 30 mila euro. Per il legale che lo rappresenta, però, non ci sarebbe un legame diretto tra la morte di Fecondo e il ruolo dell’imprenditore, che avrebbe rispettato tutti gli obblighi in tema di sicurezza. Ricostruzione che non venne accolta in primo grado e ora la procura generale ha chiesto la conferma della pronuncia già emessa dai giudici del tribunale di Gela. I legali di parte civile, che rappresentano i familiari dell’operaio morto, a loro volta hanno concluso per la conferma della condanna, ma ritenendo che la stessa decisione debba toccare anche alla Cimet, per la quale in primo grado era stata esclusa una responsabilità (l’azienda è rappresentata dall’avvocato Francesco Giocolano).

Le conclusioni delle parti civili sono state presentate dagli avvocati Rosario Giordano, Giacomo Di Fede e Cristina Guarneri. In primo grado, ai familiari è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Secondo gli investigatori, sarebbero mancate le necessarie misure di sicurezza, anche quelle che avrebbero potuto evitare o attutire le conseguenze dell’incidente. Per la ricostruzione dell’accusa, l’imprenditore avrebbe cercato di mutare lo stato dei luoghi, che poi si presentò agli investigatori. La difesa ha invece respinto le contestazioni, sollevando più di un dubbio sull’operato dei medici dell’ospedale “Vittorio Emanuele”, dato che Fecondo sarebbe comunque arrivato nel nosocomio, ancora vigile. I difensori esporranno le loro conclusioni, nell’udienza fissata per il prossimo febbraio, quando dovrebbe arrivare la decisione.

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