Morte Romano, in aula le difese: imputato, “sono innocente catasta tubi era sicura”

 
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Francesco Romano morì in raffineria

Gela. Dopo le richieste di condanna avanzate dai banchi dell’accusa e delle parti civili, ieri è toccato ai difensori degli imputati esporre le rispettive conclusioni, nel giudizio scaturito dalla morte dell’operaio trentenne Francesco Romano. Il giovane venne travolto e ucciso da un enorme tubo staccatosi da una catasta collocata nell’area della radice pontile della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore. Il tubo, da circa otto tonnellate, non gli lasciò scampo. La vittima era alle dipendenze della “Cosmi Sud”, azienda dell’indotto otto anni fa impegnata in lavori per la sostituzione di una linea all’isola 6. Secondo il pm Luigi Lo Valvo, la catena delle responsabilità sarebbe stata molto lunga e complessa, coinvolgendo non solo l’azienda alle cui dipendenze lavorava il giovane, ma anche la committenza e le società che si occupavano della sicurezza nel sito. Per i legali di tutti gli imputati, invece, non ci sarebbero state inosservanze della normativa in materia di prevenzione e inoltre l’area di cantiere sarebbe stata sicura. Sono stati passati in rassegna i piani operativi, l’effettiva entità dell’area di cantiere e tutta la disciplina in materia di sicurezza. Solo poche settimane prima, nella stessa area, c’era già stato un principio di incendio, come ricostruito dai militari della capitaneria di porto, che avviarono le indagini a seguito del terribile incidente sul lavoro. Oltre alle conclusioni di ieri, anche oggi è il turno di altri difensori, che stanno intervenendo davanti al giudice Miriam D’Amore.

Al termine della sua requisitoria, il pm Lo Valvo ha già chiesto la condanna di tutti gli imputati e delle società coinvolte. Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per Rocco Fisci, Marco Morelli, Patrizio Agostini, Sandro Iengo e Vincenzo Cocchiara; tre anni, invece, per Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zaneroli, Alberto Bertini, Guerino Valenti e Serafino Tuccio; due anni e sei mesi ad Angelo Pennisi e Salvatore Marotta (con il riconoscimento delle attenuanti generiche); due anni, infine, per Nicola Carrera, Fabrizio Lami e Mario Giandomenico. Rispetto alla posizione di Raffineria, dall’accusa è stata mossa la richiesta di condanna al pagamento di 500 quote (1000 euro a quota). 500 quote anche per Pec srl (750 euro a quota), 1000 quote per Scs Sertec (1.200 euro a quota) e 1.000 quote a Cosmi Sud (800 euro a quota). Tutte richieste respinte dai legali di difesa. In apertura dell’udienza di ieri, uno degli imputati ha reso dichiarazioni spontanee. Serafino Tuccio ha spiegato di ritenersi innocente. Ha parlato di un cantiere comunque sicuro e di una catasta che non sarebbe mai stata a rischio. L’imputato ha inoltre ricordato i rapporti di parentela diretta che lo legavano a Romano. Come sempre accaduto, i genitori e i familiari del lavoratore hanno seguito l’udienza e sono parti civili con gli avvocati Salvo Macrì, Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco. La decisione di primo grado dovrebbe arrivare ad inizio febbraio.

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