“Non c’era rischio mafia”, Tar dà ragione a Cosiam: Greco si uccise per interdittiva

 
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Greco si uccise dopo aver saputo dell'esclusione e dell'interdittiva

Gela. Sarebbe stato necessario effettuare verifiche più approfondite prima di rilasciare un’interdittiva antimafia che di fatto, due anni fa, escluse la Cosiam dagli appalti per la ricostruzione post-sisma in Abruzzo e dall’Anagrafe antimafia dei fornitori. Un provvedimento che gettò nello sconforto l’imprenditore cinquantasettenne Riccardo Greco, che due mesi dopo si tolse la vita. I giudici del Tar Lazio hanno accolto il ricorso dell’azienda gelese, adesso guidata dai figli di Greco, spiegando che quel provvedimento non andava emesso, perché privo della necessaria verifica sul “quadro indiziario relativo alla attualità del rischio di infiltrazione mafiosa”. Hanno disposto l’annullamento. I legali dell’azienda gelese hanno presentato un vasto ricorso. La struttura del Ministero dell’interno che coordina i controlli contro le infiltrazioni criminali nei lavori per la ricostruzione in Abruzzo fondò la decisione di escludere la Cosiam solo su elementi investigativi, comunque risalenti al passato, nonostante Greco avesse poi più volte denunciato richieste estorsive, danneggiamenti e intimidazioni. Nell’aprile dello scorso anno, a due mesi dal suicidio, la procura generale di Caltanissetta rinunciò all’appello che era stato proposto contro la sua assoluzione dalle accuse di essere stato vicino ai clan, favorendoli. Una rinuncia che confermò l’assenza di presupposti per ritenere che Greco potesse aver avuto rapporti con le organizzazioni mafiose, che invece iniziò a denunciare già quando operava nel servizio di raccolta rifiuti in città, insieme ad altre società del territorio.

“Si tratta, ad avviso del collegio, di notizie che, sebbene in qualche caso si pongano fuori dall’arco temporale 1996-2006 – scrivono nella sentenza i giudici – nel loro insieme non assurgono a serio quadro indiziario idoneo a sostenere un giudizio di pericolosità attuale di infiltrazione mafiosa per la società ricorrente a fronte del comportamento tenuto dal socio di maggioranza a partire dal 2007”. Dal momento della morte, la famiglia ha avviato una lunga azione per ridare dignità al geometra che nel tempo era riuscito a costruire un gruppo solido, attivo soprattutto nel settore dell’edilizia. La decisione del Tar Lazio arriva però solo dopo la sua tragica morte.

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