“Non era capo mafioso ma un falco solitario”, in aula difesa Pellegrino respinge accuse Dda

 
0

Gela. “Pellegrino era un falco solitario”. Dopo le pesanti richieste arrivate dal pm della Dda di Caltanissetta Matteo Campagnaro, che per il trentacinquenne Gianluca Pellegrino ha chiesto la condanna a ventisette anni e sette mesi di reclusione, la difesa ha rivisitato il pesante quadro accusatorio, escludendo che fosse il nuovo riferimento del gruppo Emmanuello e soprattutto che stesse riorganizzando il clan. Il suo ruolo, secondo gli investigatori, sarebbe stato cruciale anche nel tenere i rapporti con le altre anime di Cosa nostra locale, con gli stiddari e con il gruppo Alferi. L’avvocato Giacomo Ventura ha esposto per diverse ore le sue conclusioni, mettendo in discussione il contenuto delle dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia che in passato sono stati ai vertici dei gruppi locali di mafia, Roberto Di Stefano ed Emanuele Cascino. “Un capo” ma senza uomini da comandare, per la difesa sarebbe questo il paradosso investigativo alla base dell’indagine “Falco”. Le richieste di condanna sono arrivate praticamente per tutti gli imputati, ad eccezione di Emanuele Emmanuello e Pietro Caruso, per i quali è stata indicata l’assoluzione. Pellegrino, dopo la scarcerazione, venne monitorato per anni, intercettato anche quando si trovava in piazza San Giacomo, zona nella quale viveva. Per la difesa, però, la potenza criminale del gruppo Emmanuello era già venuta meno dopo l’inchiesta “Tetragona”. Gli investigatori, invece, ritengono che i vertici di Cosa nostra locale, con l’avallo del reggente provinciale Alessandro Barberi, avessero puntato su Pellegrino, cresciuto sotto l’ala protettiva di Francesco Vella, in passato tra i capi mafiosi di punta e poi diventato collaboratore di giustizia. Nel corso del lungo intervento, il legale ha toccato tutti i capi di imputazione contestati all’imputato, dalle presunte intimidazioni agli imprenditori all’affare della droga e dei locali notturni. Le accuse sono state respinte anche da altri legali di difesa, gli avvocati Carmelo Tuccio, Rocco Guarnaccia e Carlo Aiello. Non ci sarebbe stata un’organizzazione capace di controllare il traffico di droga per conto degli Emmanuello, ma solo episodi di spaccio slegati da un unico nucleo.

L’accusa ha chiesto quattordici anni per Orazio Tosto, con l’aggravante di essere stato vicino ad esponenti mafiosi, e quattro anni per Nicolò Ciaramella. Quattordici anni di reclusione sono stati chiesti anche per Alessandro Pellegrino, fratello del presunto capo del gruppo. Quattordici anni e due mesi a Giovambattista Campo, tredici anni e quattro mesi per Angelo Famao, undici anni a Giuseppe Di Noto e Guido Legname, dieci anni e sei mesi per Emanuele Faraci, sei anni e otto mesi per Emanuele Campo, sei anni e due mesi per Francesco Metellino, sei anni a Daniele Puccio, Emanuele Puccio e Angelo Scialabba, quattro anni e sei mesi per Melchiorre Scerra, quattro anni e due mesi per Nunzio Alabiso, quattro anni a Rosario Perna ed Emanuele Rolla, tre anni a Loreto Saverino e Gaetano Davide Trainito. L’avvocato Filippo Spina ha concluso nell’interesse di Emmanuello, per il quale il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione. Ai presunti uomini di fiducia di Gianluca Pellegrino è stata contestata l’aggravante di aver favorito la mafia. Alla prossima udienza toccherà concludere ad altri legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Ignazio Raniolo, Cristina Alfieri, Francesco Enia, Salvo Macrì, Maurizio Scicolone, Raffaela Nastasi e Antonio Impellizzeri.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here