“Non erano i soldi della stidda”, cadono tutte le accuse contro Maurizio Palazzo: arriva l’assoluzione

 
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Gela. Non ha reimpiegato i soldi della stidda.

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L’indagine. Cadono le accuse che i pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta avevano mosso contro Maurizio Palazzo, un intermediario immobiliare, finito a processo davanti al collegio penale del tribunale. Il presidente Miriam D’Amore, a latere Marica Marino ed Ersilia Guzzetta, ha letto in aula il dispositivo favorevole all’imputato. Il pubblico ministero Elena Caruso, invece, ha chiesto la condanna a sette anni di reclusione. In base alle accuse, Palazzo avrebbe cercato di reimpiegare soldi del gruppo degli stiddari, attraverso un’agenzia, in passato gestita in città da una donna, poi arrestata per truffa. Così, gli investigatori hanno monitorato i rapporti tra Maurizio Palazzo e il fratello Emanuele, ritenuto tra i vertici del gruppo degli stiddari.
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Quei soldi, circa quattromila euro, però, come dimostrato dai legali di difesa, gli avvocati Maurizio Scicolone e Guglielmo Piazza, erano solo un prestito che l’allora titolare dell’agenzia chiese alla madre dei fratelli Palazzo. Non era denaro da destinare ai detenuti, né ci sarebbero state minacce da parte dell’imputato per tentare di riavere le somme. Una linea difensiva avvalorata da documentazione contabile, che la difesa ha presentato, oltre a sottolineare come le indagini su Maurizio Palazzo non avessero portato ad alcuna accusa, già durante l’inchiesta “Agorà”. L’uomo, infatti, non ha alcun tipo di rapporto con i gruppi criminali della città. Le contestazioni a suo carico, alla fine, sono cadute.

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