“Non fu un cavallo di ritorno per l’auto”, difese in appello: tre accusati di estorsione

 
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Immagini di repertorio

Gela. Un anno fa, al termine del giudizio di primo grado, il collegio penale del tribunale di Gela emise pesanti condanne nei confronti di Claudio Iannì e della cittadina romena Renata Paun. Sei anni e tre mesi di reclusione, con l’accusa di aver imposto un presunto “cavallo di ritorno” ad un pensionato di Licata. Gli avrebbero chiesto soldi per fargli riavere l’automobile. Due anni di reclusione anche all’altro imputo, Andrei Stirbu. Dopo quel verdetto, i difensori dei tre, gli avvocati Salvo Macrì e Giuseppe Smecca, si sono rivolti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Hanno chiesto di rivedere il verdetto, escludendo che dietro a quanto ricostruito dai carabinieri possa esserci stata un’estorsione. Il proprietario avrebbe concesso l’uso dell’auto alla donna, ma i soldi sarebbero stati tirati in ballo a causa di un guasto del veicolo, poi portato in un’officina meccanica di Gela per la riparazione. Anche per questa ragione, al pensionato sarebbe stato chiesto di recarsi in città.

Non ci sarebbe mai stata alcuna minaccia né gli imputati gli avrebbero impedito di ritornare in possesso della vettura, che effettivamente fu ritrovata in un’officina meccanica. Tutti elementi che per i difensori farebbero venire meno le pesanti contestazioni. Il verdetto d’appello potrebbe arrivare entro le prossime ore.

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