Non pretesero la percentuale sull’appalto, cade accusa estorsione per lavori a Farello: due assolti

 
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Gela. Non fu estorsione. E’ arrivata l’assoluzione per Salvatore Incardona e Giovanni Marù, titolari di un’agenzia funebre. Erano accusati di aver imposto il pagamento di circa 45 mila euro al titolare di un’impresa, al quale erano stati affidati i lavori per la realizzazione di duecentocinquanta loculi nel cimitero Farello, per conto dell’associazione “Sant’Ippolito”. In base alle accuse mosse dai pm della procura, i due imputati avrebbero preteso una percentuale su ogni pagamento dei Sal. Fu il titolare dell’impresa a denunciare i fatti. Non solo i soldi da restituire, ma anche le pressioni per far assumere un parente, altrimenti ci sarebbero stati ritardi nei versamenti. Un quadro accusatorio che però non ha retto in dibattimento. Incardona e Marù sono stati assolti con la formula “perché il fatto non sussiste”. Difesi dall’avvocato Alfredo D’Aparo, hanno sostenuto che i soldi chiesti al titolare dell’impresa erano in realtà somme ulteriori, la cui restituzione era stata pattuita fin dall’inizio. Il pm Luigi Lo Valvo, al termine della requisitoria, producendo una serie di atti e documenti relativi al rapporto contrattuale tra i committenti e l’impresa, ha invece sostenuto la responsabilità dei titolari dell’agenzia funebre, chiedendone la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione. Una richiesta sostenuta dai legali di parte civile, gli avvocati Rosaria Fasciana, Giuseppe Panebianco e Laura Cannizzaro, che assistono il titolare dell’impresa e l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”. Sono stati toccati alcuni aspetti legati al contenzioso civile, instaurato dopo la contestazione sulla qualità dei lavori svolti. Fattori presi in esame dal difensore degli imputati. Per il legale, infatti, l’esecutore di tutte le attività di costruzione dei loculi sarebbe stato consapevole che i lavori non erano stati eseguiti così come pattuito. Ci sarebbero state delle difformità tecniche.

“Per questo motivo – ha detto il legale D’Aparo – ha pensato ad un piano diabolico, denunciando una presunta estorsione subita. L’appalto gli venne assegnato solo perché c’erano rapporti di parentela, che lo favorirono. Ha però deciso di denunciare, ma sapeva che i lavori effettuati non erano adeguati. Perché avrebbero dovuto chiedergli l’estorsione? Non ne avrebbero tratto alcuna utilità. I pagamenti non vennero mai bloccati”. Una ricostruzione che ha convinto il collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Ersilia Guzzatta e Tiziana Landoni.

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