Nove anni di opg, altre verifiche dei giudici sul caso La Perna: anche il ministero sapeva

 
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Gela. Hanno deciso di valutare ancora una volta l’intero quadro clinico del trentaquattrenne Antonio La Perna, acquisendo le tante cartelle mediche prodotte e con il procedimento rimesso sul ruolo. Slitta probabilmente ad inizio dicembre il verdetto dei giudici della Corte d’appello di Caltanissetta chiamati a decidere sull’ingiusta detenzione patita da La Perna, entrato in un ospedale psichiatrico giudiziario poco più che ventenne e uscitone solo dopo nove anni. Una detenzione che ha causato conseguenze gravissime soprattutto sul piano psichico, oltre a quanto poi riscontrato sul suo fisico. L’avvocato Concetta Di Stefano, che segue il caso ormai da anni, in più occasioni chiese misure alternative, con la revoca della detenzione negli opg. Istanze tutte respinte mentre le accuse che venivano mosse a La Perna sono venute meno. Il calvario iniziò dopo una denuncia per una presunta estorsione ai danni della nonna. L’allora ventenne La Perna le avrebbe chiesto circa venti euro. Fu la donna stessa però a ritirare la denuncia, ma per il nipote iniziò comunque una sequela di trasferimenti in diversi opg della penisola. Non sono bastate le tante richieste di rivedere quella misura, accompagnate da documenti medici che attestavano come le sue condizioni non fossero adeguate alla permanenza negli ospedali psichiatrici giudiziari. Solo dopo nove anni ha potuto lasciare quelle strutture. Davanti alle accuse cadute, il suo legale chiede che venga risarcito.

Che il caso avesse oramai travalicato ogni limite normativo, seppur solo quattro anni fa, lo aveva capito l’allora direttore dell’opg di Reggio Emilia Valeria Calevro. Nell’aprile del 2014, con i pareri favorevoli del dirigente medico e della psicoterapeuta della struttura, scrisse all’ex ministro della giustizia Andrea Orlando. Per il direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario emiliano, la detenzione di La Perna violava i diritti umani. Un “ergastolo bianco”, così lo definiva nella missiva inviata al ministro. Solo due anni dopo, però, il trentaquattrenne riuscì a lasciare la struttura.

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