“‘O sole mio”, quando la canzone napoletana era più nota dello stesso inno

 
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Gela. Le canzoni Napoletane, nascono per l’immortalità, non sono proprietà di nessun autore, ma restano patrimonio dell’umanità. Per questo motivo, non sono proprietà di questo o quell’altro artista ma restano di proprietà dell’umanità. La canzone “O sole mio” è più nota dello stesso inno nazionale e infatti, in occasione delle Olimpiadi di Anversa del 1920, per celebrare la vittoria italiana del marciatore milanese Ugo Frigerio, fu intonata dalla banda musicale Belga che aveva smarrito lo spartito del regno d’Italia e restò muta, nell’imbarazzo generale, quando il maestro improvvisò ciò che i musicisti conoscevano a memoria e cioè “O sole mio”. Una scelta che si guadagno applausi scroscianti dei presenti. Fu pure intonata, nel suo viaggio in orbita spaziale dal Russo Jury Gagarin nel 1961 durante il suo primo viaggio spaziale.

La canzone Napoletana, nel panorama mondiale, ha saputo riservasi un posto di prim’ordine come genere musicale popolare, ciò dovuto alle discendenze musicale dell’opera.

Il canto a Napoli è antichissimo e rasale al I° secolo a.c. con riferimento ai culti pagani delle baccanali nella crypta Napoletana, detta Grotta di Pozzuoli. Il genere popolare pop, incominciò a delinearsi nel secolo XIII con Federico II di Svevia dove il genere musicale Napoletano comincia a dare luogo ai primi esempi di poesia dialettale e ai primi canti intonati nelle colline del Vomero e tre secoli più tardi le Villanelle Napoletane delle cantate a più voci sublimavano l’espressione gergale.

Di questo genere il grande autore Bernardino, detto il Velardiniello, purificò la poesia vernacolo Napoletana e la portò nella canzone, aprendo la strada a musici e poeti d’Europa. La diffusione fu operata da due compositori fiamminghi: Orlando di Lasso e Adrian Villaert.

Bernardino fu il primo a diffondere la canzone Napoletana nella definizione dell’idioma Partenopeo, tanto da essere elevato al rango di lingua ufficiale nel regno di Alfonso I d’Aragona,  che lo impose al popolo e a tutte le figure più importanti dello Stato.

La villanella, nel cinquecento, perde la sua semplicità musicale e il testo Napoletano a scapito dell’Italiano letterario. In questo periodo nasce il ballo erotico delle coppie abbinato al canto: La tarantella.

La lingua napoletana, voluta da Velardiniello, nel seicento con le opere poetiche di Giovan Battista Basile e Salvator Rosa si affermò prepotentemente e diviene più erudita.

Il percorso della canzone Napoletana ha travolto la tradizionale festa di Piedigrotta, mutata in seguito a sovrapposizione religiose e dinastiche, che con il trascorrere dei tempi viene completamente stravolta. Il popolo non è più protagonista ma semplice spettatore e i carri e i canti, che inizialmente appartenevano al popolo, con l’avvento dell’industria discografica, furono sottratti ai veri proprietari.

La città di Napoli cominciò a sacrificare la sua festa di Piedigrotta, famosissima come il carnevale di Rio, per guadagnare il suo immenso patrimonio musicale. Il cambiamento si verificò nel settecento, quando l’opera buffa, nata nei teatri Napoletani, con i musicisti come Cimarosa, Pergolesi, Paisiello e Piccinini, che inserirono nei loro capolavori canti leggeri per renderli più popolari. Successivamente quei canti popolari divennero una vera espressione artistica slegata dalla struttura operistica. A Napoli, con l’inserimento dell’intermezzo nel Melodramma, nasce l’opera buffa, che inglobò la canzone popolare, facendo nascere la canzone Napoletana.

La diffusione della canzone Napoletana si ebbe ad opera di due francesi abitanti a Napoli nel periodo Napoleonico nel 1825, Girard pubblicò l’edizione dei Passatempi musicali che divennero elementi fondamentale di penetrazione nei mercati di Parigi, Londra, Vienna e Madrid.

Nel 1835, nasce la prima vera Canzone Napoletana “Te voglio bene assaje”.

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