Omicidio Mendola, condanna a trent’anni per Lembo anche nel giudizio di appello bis

 
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Il cadavere fu ritrovato nei boschi di Pombia

Torino. Subito dopo l’arresto, confessò l’omicidio del gelese trentatreenne Matteo Mendola, il cui cadavere fu ritrovato, quattro anni fa, all’interno di un rudere, tra i boschi di Pombia, in provincia di Novara. Anche nel secondo giudizio di appello, successivo all’annullamento disposto dalla Cassazione, per Antonio Lembo è stata pronunciata la condanna a trent’anni di detenzione, così come già deciso in primo grado, al termine del rito abbreviato. La Cassazione, accogliendo una parte del ricorso della difesa, sostenuta dall’avvocato Gabriele Pipicelli, aveva annullato, proprio rispetto all’entità della pena, confermata anche in secondo grado. Sul riconoscimento delle attenuanti generiche è stata chiamata a pronunciarsi, per la seconda volta, la Corte d’assise d’appello di Torino. Le generiche sono state riconosciute, ma senza incidere sull’entità complessiva della condanna, confermata in trent’anni di reclusione. Lembo agì insieme ad un complice, Angelo Mancino, condannato in via definitiva, sempre a trent’anni di detenzione. Mendola sarebbe stato attirato in quella zona isolata, proprio perché doveva essere ucciso. Venne raggiunto da colpi di pistola e poi finito, con il cranio fracassato. Gli investigatori novaresi ricostruirono il movente, arrivando a Lembo e Mancino.

Secondo quanto raccontò lo stesso Lembo, che poi ritrattò nel successivo confronto, sarebbe stato un altro gelese, l’imprenditore edile Giuseppe Cauchi, a dare l’ordine di uccidere Mendola, forse per un regolamento di conti, legato al traffico di droga. I gelesi risiedevano stabilmente in provincia di Varese. Lembo avrebbe agito anche per saldare un presunto debito che il fratello aveva contratto con Cauchi. Una versione, che almeno per la posizione processuale del gelese, non ha retto. In primo grado, i giudici della Corte d’assise di Novara hanno assolto Cauchi (difeso dai legali Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo). La procura ha però impugnato e si attende che venga fissato un nuovo giudizio, sempre in Corte d’assise d’appello, a Torino. La famiglia di Mendola, in tutti i gradi di giudizio, così come capitato anche nel procedimento che tocca Cauchi, si è sempre costituita parte civile.

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