Omicidio Minguzzi, “Tasca non è il telefonista del sequestro”: in aula perizie difformi

 
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Minguzzi fu rapito e ucciso nel 1987

Ravenna. Perizie foniche che contrastano tra loro. E’ quanto emerso, questa mattina, nell’aula della Corte d’assise di Ravenna, nel dibattimento aperto per l’omicidio di Pierpaolo Minguzzi. Il cold case fu ricostruito ad anni di distanza dai fatti. Il corpo del giovane, allora poco più che ventenne, fu ritrovato nelle acque di un canale, nel maggio del 1987. Era stato sequestrato e sono accusati dell’omicidio due ex carabinieri, il gelese Orazio Tasca e Angelo Del Dotto, oltre all’operaio Alfredo Tarroni. Sono già stati condannati per un altro sequestro, finito nel sangue, e successivo solo di tre mesi rispetto a quello di Minguzzi. Fu rapito ad Alfonsine, dove viveva insieme alla famiglia, che possedeva un’azienda. Sarebbe stato ucciso subito dopo, nonostante le richieste di riscatto. Proprio sulle telefonate arrivate alla famiglia si sono concentrate le perizie. Questa mattina, il professore Luciano Romito, incaricato dai giudici, ha spiegato che la voce non sarebbe quella di Tasca, che viene invece ritenuto il telefonista e pienamente coinvolto nell’azione. Fu sempre lui a contattare, con lo stesso metodo, la famiglia dell’altro rapito, appena tre mesi dopo il sequestro Minguzzi. Secondo Romito, non ci sono elementi, neanche sull’inflessione linguistica, che possano ricondurre a Tasca. La procura, in aula con il pm Marilù Gattelli, si è avvalsa delle conclusioni di una perizia di parte, che invece arriva a indicazioni differenti, individuando la possibilità che fosse Tasca a telefonare. Nel secondo sequestro, come hanno spiegato gli investigatori anche in fase di indagine, Tasca, contattando la famiglia della vittima, avrebbe commesso un errore, riferendosi ai Minguzzi. Per gli investigatori, anche questo deporrebbe a favore della tesi del suo coinvolgimento.

I tre imputati, però, hanno sempre respinto le pesanti contestazioni. La famiglia Minguzzi sta seguendo il dibattimento, come parte civile, con gli avvocati  Paolo Cristofori,  Luca Canella, e Luisa Fabbri, che a loro volta mettono in dubbio le conclusioni del perito della Corte, ritenendo che a telefonare sia stato l’ex carabiniere gelese. In aula, si tornerà a metà maggio, per un’altra perizia, ma calligrafica. La sentenza dovrebbe essere rilasciata a fine mese. Gli imputati sono rappresentati dai legali Luca Orsini, Gianluca Silenzi e Andrea Maestri.

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