Omicidio Sotti, difesa Cilio deposita ricorso in Cassazione: “Annullare condanna a 24 anni”

 
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Cilio è stato condannato in via definitiva a ventiquattro anni di reclusione

Gela. Circa ottanta pagine di ricorso, nelle quali la difesa del niscemese Giuseppe Cilio chiede ai giudici di Cassazione l’annullamento della condanna a ventiquattro anni di reclusione, impostagli dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Secondo le accuse, fu Cilio a sparare al ventiduenne Orazio Sotti, ucciso diciannove anni fa davanti al garage della sua abitazione, a Fondo Iozza. Il ricorso è stato depositato. In primo grado, all’imputato, difeso dall’avvocato Salvo Macrì, venne imposto l’ergastolo, con l’assoluzione invece del fratello Salvatore Cilio (difeso dall’avvocato Luigi Cinquerrui). In appello, però, sono passate alcune delle tesi difensive, con la riduzione a ventiquattro anni. Secondo i giudici di secondo grado, l’omicidio non sarebbe stato premeditato, ma Cilio avrebbe deciso di uccidere il ventiduenne quella stessa notte. Il giovane operaio sarebbe finito nel mirino del niscemese per via di una relazione sentimentale intrattenuta con la sua allora fidanzata e con quella del fratello Salvatore. Una vendetta, secondo i pm della procura e i poliziotti dell’aliquota e quelli del commissariato che ricostruirono la vicenda, ad anni di distanza. Inizialmente, non si riuscì ad individuare la pista giusta. Per la difesa, però, la sentenza di condanna è da rivedere, anzitutto perché sarebbe arrivata sulla scorta di motivazioni diverse dal capo di imputazione contestato a Cilio. Nel ricorso, si fa riferimento all’assoluzione del fratello, che per i giudici non sarebbe stato il mandante dell’agguato. Una decisione che, secondo la difesa, muterebbe gran parte del quadro accusatorio, anche perché la pistola che venne usata per fare fuoco non venne mai ritrovata e inoltre Giuseppe Cilio non fu mai visto sul luogo dell’omicidio. Il legale che rappresenta l’imputato niscemese solleva una serie di contestazioni rispetto al fatto che la verità processuale sarebbe stata costruita solo sulla base delle dichiarazioni di testimoni chiave, sentiti però in fase di indagine. Le stesse persone avrebbero poi riferito in aula una versione del tutto differente. Contraddizioni che per il legale devono essere valutate dai giudici romani.

Nel corso del giudizio, sono state più volte sollevate ipotesi di violazione del diritto di difesa, tanto che il legale di Cilio scelse anche di abbandonare il suo incarico, per poi essere nuovamente nominato dal presunto killer del ventiduenne. Tutti elementi che sono alla base del ricorso in Cassazione. Nella decisione emessa, vengono confermate le statuizioni in favore dei familiari del giovane ucciso, costituiti parti civili con gli avvocati Giuseppe Cascino, Francesco Minardi e Maria Cascino. La famiglia del giovane ucciso ha sempre chiesto che si arrivasse alla verità.

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