Povertà e ignoranza del sud, argomenti dei pennivendoli da strapazzo del nord

 
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Gela. Fino al 1850 nel regno dei Borboni, si sviluppò la navigazione marittima, tanto che il governo fu costretto a promulgare il codice marittimo, primo in Italia, costruendo una rete di fari lenticolari per tutta la costa.

La manodopera specializzata nel regno Borbonico, era richiesta in tutto il mondo e le navi mercantili solcavano tutti i mari, pullulavano le compagnie di assicurazione e i cantieri navali forniti di personale specializzato, lavoravano gioiosamente.  

I maestri d’ascia erano molto ricercati e così i bozzellai, i velai, gli stipettai e i carpentieri. Il lavoro era ben retribuito e gli operai potevano usufruire di una pensione, dopo il lavoro, perché versavano allo Stato il 20% dello stipendio mensile.

Gli sportelli bancari erano distribuiti in tutti i centri abitati e venivano concessi mutui a tassi bassissimi, infatti, il governo autorizzò le banche a emettere polizzini sulle fedi di credito, ossia i primi assegni bancari della storia economica.

Non venne trascurato il turismo, promuovendo musei e scavi, particolarmente a Pompei ed Ercolano, furono bonificate molte paludi per assegnare i terreni ai coltivatori diretti per produrre frutteti ed orti, un impulso particolare ebbero le università che sfornavano fiori di professionisti in tutto il regno, che poteva vantare il tasso di mortalità infantile più basso di tutta l’Italia con novemila medici sparsi nel regno delle due Sicilie.

Furono istituiti collegi militari come la Nunziatella, Accademie culturali, scuole di arti e mestieri, Monti di pegno e Frumentari.

Oggi, abbiamo il debito pubblico nazionale più alto d’Europa, mentre allora per la buona amministrazione finanziaria, la borsa di Parigi, la più importante del mondo, quotava la Rendita dello Stato napoletano al 120 per cento, ossia la più alta di tutti i Paesi. In occasione della conferenza internazionale di Parigi del 1856, fu assegnato al Regno delle due Sicilie il premio di terzo paese del mondo per sviluppo economico, dopo Francia ed Inghilterra.

Queste, in sintesi, le cose che hanno fatto grande il meridione e che hanno permesso una vita tranquilla al popolo del sud senza emigrazione per cercare fortuna altrove.

Se oggi i pennivendoli da strapazzo che, per guadagnarsi un posto nel mercato sociale attuale, sono disposti a ipotecarsi perfino le mutande, lo facciano pure, ma non continuino a sfondarci i timpani sugli schermi televisivi o sui giornali a tiratura nazionale, sulla povertà e sulla ignoranza del sud.

Basta con la critica di alcuni sindaci che desiderano parlare dei Borboni, perché se vogliano che a Pontelandolfo si festeggiano il colonnello Negri o De Sonnaz, a Gaeta dovrebbero innalzare a gloria il massacratore della città: Enrico Cialdini, a Bronte santificare Nino Bixio, a Lissa ricordare Persano e a Custoza La Marmora, lo facciano pure, a viso aperto con una bella festa nazionale.

Questi pennivendoli prezzolati, che pullulano in mezzo alla cultura Italiana, per un attimo  dovrebbero smetterla di dire corbellerie e ipocrisie inutili,  perché se ritengono che Cialdini e La Marmora siano da considerarsi eroi, che li festeggino. Se ritengono che De Sonnaz e Negri siano santi, che li santificano, se ritengono Vittorio Emanuele III e Badoglio siano degli eroi perché fuggirono lasciando l’Italia nelle mani di Kappler, Reder e Kesselring che li incensino pure, per noi sono e rimangono criminali di guerra, per i massacri compiuti, durante il loro periodo di regnanti.

Se vogliono continuare a osannare tutti i grandi poeti Italiani, che hanno volutamente cancellato la storia del risorgimento Italiano, perché si vergognano di evidenziare il comportamento vigliacco dei criminali di guerra, lo facciano pure ma non possono pretendere di essere ricordati come eroi, ma come luridi mentitori dei fatti storici e dei massacri dimenticati.

Forse non lo sanno, ma questa repubblica è stata fatta dai Martummè, dai Giordano, da Carmine Crocco, dal sergente Romano, da Alonzi e altri umili briganti che hanno combattuto contro i Savoia con coraggio ed abnegazione sacrificando la loro giovane esistenza. Vogliamo solo ricordare la morte di Martunnè e della sua sposa, a noi sembra tragica e beffarda, che corrono insieme a dorso di due cavalli fino a Gaeta, per sposarsi nella parrocchia dove era nato e i piemontesi li fanno regolarmente sposare.

Ma prima che tentassero di uscire dalla chiesa, vengono arrestati e portati davanti al plotone di esecuzione, sistemato vicino alla casa che lui stesso aveva costruito.  Così i novelli sposi vengono barbaramente fucilati senza alcun processo. Evviva il regno dei Savoia e i liberatori piemontesi!.

Alcuni fenotipi della peggiore specie, si innervosiscono all’esposizione da parte mia di alcuni dati statistici tratti dal testo di Antonino Ciano “I Savoia e il massacro del sud”, e si scagliano contro l’autore in maniera poco elegante e professionale, senza considerare i limiti della preparazione di ognuno di noi.

Sull’interpretazione dei dati statistici, dovremmo abbassarci ai comuni mortali ed esaminarli con spirito sereno e obiettivo, tenendo presente la storia vera non quella dei vincitori e valutare pacatamente tutto quello che hanno fatto i piemontesi a partire dal 1860, con la scusa dell’unificazione dell’Italia.

L’autore del testo “Palermo 1815-1860” è un accanito sostenitore del regno savoiardo, perciò fa parte di quel gruppo di pensatori italiani che io contesto. Sull’ignorante dato al Manzoni, alcuni nostri simpatici lettori, si dimenticano che il Manzoni, faceva parte del primo governo del regno della nuova Italia presieduto da Cavour, con il De Sanctis, ed erano presenti quando scoppiò la disputa in aula tra il presidente del consiglio Cavour e il generale Garibaldi, erano sordi o ignoranti? Su questa disputa ne parla lo storico siciliano Indro Montanelli nella sua “Storia d’Italia”, ma lo storico è solo preoccupato di trasmettere ai posteri, se l’ateo Cavour si fosse convertito al cristianesimo in punto di morte.

Per essere grandi i poeti italiani di quel periodo, dovevano dimostrare di non conoscere i fatti storici del momento o d’ignorarli per portare avanti la politica del silenzio tombale, imposta dai nordisti e così cancellare la vera storia del meridione.

Il Verga, il Carducci, il Montanelli, il Pascoli e tutti gli scrittori dal 1860, fanno parte di questa grande famiglia di ipocriti.

1 commento

  1. L’autore del testo “Palermo 1815-1860” ha incaricato i suoi legali di valutare se il contenuto dell’articolo integri il reato di diffamazione a mezzo stampa.

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