“Pagai venti milioni al clan Emmanuello”, confessione choc di un imprenditore ittico

 
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Gela. Ha ammesso di aver pagato fino a venti milioni di vecchie lire ai componenti della famiglia Emmanuello che, per diversi mesi, lo avevano messo nel mirino.

Vittima delle richieste, praticamente alla fine degli anni ’90, è stato l’imprenditore ittico Emanuele Catania.
L’uomo, da decenni titolare di una nota azienda del settore, iniziò a ricevere visite e richieste praticamente a metà degli anni ’90.
“Purtroppo – ha spiegato davanti alla corte presieduta dal giudice Paolo Fiore – nel 1996, mi venne bruciato il magazzino che gestivo all’interno del porto rifugio. Dopo quel fatto, si presentò Rosario Trubia a chiedermi, per l’ennesima volta, di pagare”.
Le dichiarazioni sono state rese in aula durante una delle udienze del processo apertosi a carico di Orazio Scerra, cognato dell’ex boss Rosario Trubia, accusato di una serie d’estorsioni. L’imprenditore ha risposto alle domande poste dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia Onelio Dodero e dal difensore di Scerra, l’avvocato Paola Turco.
“Non ricordo bene tutti i particolari perché è passato molto tempo – ha continuato l’imprenditore – sicuramente, però, mi giunsero le richieste di Trubia. Dopo il suo arresto, mi vennero a trovare Carmelo Billizzi e Orazio Scerra. In origine, mi fu chiesto di versare circa cinquanta milioni delle vecchie lire”.
Davanti al no dell’imprenditore, la cifra si ridusse fino a venti milioni.
“Pagavo quando avevo disponibilità economiche – ha continuato – spesso davo uno o due milioni. In totale, comunque, versai circa venti milioni. Capitava anche di cedere, gratuitamente, cassette di pesce fresco”.

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