“Quei soldi erano nostri”, titolari agenzia funebre si difendono da sospette estorsioni

 
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Gela. “Abbiamo sempre pagato tutti gli stati di avanzamento lavori, senza pretendere niente. Anzi, abbiamo avviato una causa civile perché riteniamo che i lavori non siano stati adeguati”. I titolari dell’agenzia funebre che commissionarono l’appalto a Farello, per conto di una delle confraternite, si sono difesi in aula, davanti al collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore. Sono accusati di aver sottoposto ad estorsione il titolare dell’azienda che effettuò i lavori. Avrebbe versato non meno di 45 mila euro, soldi che sarebbero serviti per evitare che i due imputati potessero bloccare i pagamenti. Secondo i magistrati della procura, avrebbero preteso anche assunzioni di favore. “Il contratto fu stipulato per un ammontare di 390 mila euro – hanno detto – alla fine, abbiamo previsto 450 mila euro, per cercare di guadagnare qualcosa. Ma quelli che ci vennero restituiti erano soldi nostri. L’assunzione ad un operaio l’aveva promessa lui”. A processo sono finiti Salvatore Incardona e Giovanni Marù. “Quell’imprenditore lo conoscevo come coltivatore di pomodori – ha detto Marù – non ero d’accordo che fosse lui ad eseguire i lavori. In quel periodo, ho subito l’incendio di un’automobile”. L’imprenditore che avrebbe subito le pressioni (legato da rapporti di parentela con Incardona) segnalò quanto avveniva e nel giudizio è parte civile, con l’avvocato Rosaria Fasciana. Stessa scelta assunta dall’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con l’avvocato Giuseppe Panebianco.

I due imputati hanno risposto alle domande formulate dal legale di fiducia, l’avvocato Alfredo D’Aparo, che ha prodotto un preventivo lavori presentato da un’altra azienda, che alla fine non avviò il cantiere. L’accusa in giudizio è sostenuta dal pm Luigi Lo Valvo.

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