Real Cittadella, l’attacco dei piemontesi per un fine nobile che mortifica il sud

 
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Il giorno 10 del mese di marzo del 2018 si sono celebrati i 157 anni dell’eroica impresa sostenuta dagli assediati borbonici nella real cittadella di Messina. L’assedio durava da nove mesi e vi erano asserragliati circa 9 mila soldati borbonici, in difesa del Regno delle due Sicilie, attaccato senza dichiarazione di guerra dalle forze armate piemontesi per colonizzare il mezzogiorno con tutto il Regno delle due Sicilie.
L’operazione di colonizzazione viene giustificata per unificare l’Italia e, come asseriscono gli storici prezzolati e senza dignità, per un fine nobile. A questo fine si rivolgeva Vittorio Emanuele II, quando esclamava a voce alta: “non siamo insensibili al grido di dolore che da tutte le parti d’Italia si eleva verso di noi”.
Ma apertamente sosteneva, con tutto il suo Governo, di uccidere, fucilare e massacrare la popolazione meridionale e trafugare ogni bene per trasferirlo al nord senza nessuna pietà.
Aveva al suo fianco il grande poeta Italiano Giosuè Carducci, amante della regina, che veniva pagato per commuovere lo stato Italiano, appena formato, con sonetti strappalacrime, come “Pianto antico” o ancora Giovanni Pascoli con le sue canzonette sulla “Cavallina storna” che portava colui che non ritorna, mentre le lacrime degli Italiani del meridione non venivano prese in considerazione nemmeno dai nostri grandi narratori.

Tra questi Giovanni Verga, Luigi Capuana e in tempi molto più vicini alla nostra generazione, Luigi Pirandello o Tommaso da Lampedusa che sosteneva candidamente: “sono venuti a insegnarci le buone maniere, ma non ci riusciranno perché noi siamo Dei”.
Questi i problemi dell’Italia Sabautica che animavano la cultura ipocrita del secondo Risorgimento, volta a giustificare i crimini commessi dai Tosco-Padani, secondo la teoria Machiavellica del fine che giustifica i mezzi a qualsiasi costo. Teoria elaborata anche dal nostro critico letterario Natalino Sapegno, così tutti i massacri commessi dai nordisti hanno trovato giustificazione, ancora oggi, per il bene della unificazione di questa Italia, mai unita e sempre divisa tra nord e sud. Gli organizzatori di questa manifestazione a Messina, vogliono ricordare ai meridionali a cui è rimasto un briciolo di dignità morale e politica, che da più di venti anni si celebrano queste ricordanze, per fare rivivere l’aspetto monumentale della fortezza che si è arresa per volontà di Ferdinando II ai piemontesi. Nessuno parla di rivisitare la storia o meglio di dire la verità, nessuno vuole prendere atto di ciò che è successo alla nostra terra, che ha dovuto subire l’offesa più grande che è la cancellazione della nostra storia, della nostra dignità di uomini e di cittadini appartenuti ad un popolo onesto e laborioso. L’organizzatore di questa manifestazione si chiama Franz Riccobono che da 20 anni ripropone il progetto senza mai interromperlo, ricordando i fatti avvenuti tra il 10-13-marzo 1861.
I partecipanti di questa pacifica manifestazione cercano solo la verità contro una valanga di fango che ha colpito la dinastia Borbonica,senza che nessuno mai si sia chiesto perché?
Tra l’altro, l’oratore, riferisce che alla città di Messina, dopo la peste del 1734, re Carlo di Borbone concesse una serie di regolamentazione per la ripresa della città dopo il disagio subito dalla grave pestilenza, certamente non la legge marziale dopo il terremoto del 1918 che imposero i re Sabaudi ai Messinesi terremotati che ancora oggi vivono nelle baracche, concesse dal re galantuomo Savoiardo.
Parlare di relativismo culturale alla classe evoluta del meridione, imbevuta di filosofia anglo sassone è come impegnarsi a discutere sull’ateismo per denigrare i 2000 anni di storia della filosofia Greco-Romana che porta inevitabilmente all’essere agnostici senza nessuna considerazione. E’ meglio affermare epistemi storici, non tautologiche, che ci permettono di affrontare categoricamente che la nostra classe intellettuale è solo orientata all’ipocrisia e alla disonestà culturale, perciò poco credibile nelle sue elucubrazione filosofiche di natura anglo-sassone. La vergogna, dovrebbe investire, la politica e la cultura meridionale quando ascoltiamo affermazioni di giornalisti del sistema ben addestrati a dire bugie senza condizioni, Giovanni Flores asserisce: la verità è che, annettendo il regno delle due Sicilie, i piemontesi hanno fatto un affare e successivamente: i Borboni sul trono dal 1734, hanno fatto parecchio, favorendo il progresso tecnologico in molti campi e trasformando Napoli in una vera capitale, la terza per popolazione in Europa, dopo Londra e Parigi con i suoi 400.000 mila abitanti, la quinta nel mondo, sotto Ferdinando II (1830-1859), la città ha raggiunto uno dei periodi di massimo splendore economico e tecnico. A noi servili adulatori dei nordisti, gli storci prezzolati, ci hanno tramandato una Napoli con tutto il regno delle due Sicilie, affamata, ignorante, senza storia e nella miseria assoluta, tutto questo spalleggiato dalla nostra cultura, da uomini politici, uomini di spettacolo, di teatro e di ogni mezzo di comunicazione.
Nessuno sa che le prime vittime della storia operaia furono compiute dai piemontesi il 6 agosto 1863 a Pietrarsa nella fabbrica di L. Fabbricini, A. Olivieri, A. Marino, nella zona Campana del regno arretrato delle due Sicilie e non nella evoluta zona del nord Italia, dove le fabbriche stavano approdando, dopo i furti compiuti dai nobili nordisti, già iniziati nel 1860.
Tutto questo sempre per il bene superiore dell’unificazione dell’Italia divisa in piccoli stati e per liberarci dalla dominazione Borbonica e colonizzarci. Strana Italia questa degli ultimi 150 anni, noi liberati dai piemontesi per colonizzarci, nel 1945 liberati dagli Americani, dai Francesi e dagli Anglo Sassoni, il cui primo ministro, aveva giurato di sommergere l’Italia di piombo e bombe, dai marocchini che nella zona del Lazio hanno stuprato le nostre donne, sempre per un fin più alto, l’acquisizione del potere dei partigiani, anche questi, liberatori. Diciamolo agli Istriani, ai Corsi, alla città di Nizza, alla Savoia e anche ai Maltesi che sono stati venduti senza pietà come schiavi ai francesi e agli inglesi…

2 Commenti

  1. Solito, squinternato intervento di Maganuco, che allinea tutti i suoi “nemici”, inclusi – a quel che pare – i colpevoli di avere abbattuto il regime fascista ed il suo prezioso alleato. Dopo l’invettiva lanciata contro chi ignora la storia dell’Italia del sud però “dimentica” che la città, non la cittadella, di Messina aveva già subito un assedio lungo nove mesi – dal 29 gennaio al 7 settembre 1848 – ad opera delle rimpiante milizie borboniche e per il “nobile fine” di riconquistare l’isola che reclamava il ritorno ai suoi antichi diritti.
    Questi neo-storici non smettono mai di stupirmi.

  2. Torno sull’articolo per segnalare, onde non sfuggano a un lettore distratto, alcune perle di cultura donateci dallo straordinario Maganuco. Grazie a lui scopriamo che fra gli scrittori italiani del Novecento va annoverato un certo Tommaso da Lampedusa, apologeta dell’Italia “Sabautica” – che ritengo sia quella che chiede gli anni “sabautici” –, che Niccolò Machiavelli avrebbe sostenuto la tesi secondo la quale “il fine giustifica i mezzi a qualsiasi costo” (e immagino sia azzardato chiedere a Maganuco di documentare questa affermazione con riferimento ai testi del povero Niccolò), e che questa teoria sarebbe stata elaborata anche da Natalino Sapegno (trasformatosi anch’egli in teorico della politica, si suppone).
    Viene poi una dotta lezione di storia, che comincia con l’informarci che la cittadella di Messina nel marzo 1861 si arrese per volontà di Ferdinando II, che era morto il 22 maggio 1859, e conclude con lo svelarci che la fabbrica di Pietrarsa il 6 agosto 1863 era di L. Fabbricini (che si chiamava però Luigi Fabbrocino), A. Olivieri e A. Marino, che secondo i biechi e bugiardi intellettuali meridionali furono invece tre della quattro vittime (la quarta si chiamava Domenico Del Grosso, il nome di Olivieri e Marino era Aniello) della repressione dello sciopero operaio contro la gestione di Jacopo Bozza, che aveva lo stabilimento in affitto.
    Profonde le argomentazioni sulla contrapposizione tra filosofia greco-romana e filosofia anglo-sassone, e guai a trovarle incomprensibili per la bizzarra sintassi dell’esposizione, che contesta volutamente dalle fondamenta la sintassi “tosco-padana” per crearne una “indipendentista”.
    E infine scopriamo che il plurale di “regolamentazione” è “regolamentazione”, gli “epistemi” possono essere “tautologiche”, “affrontare” e “affermare” sono sinonimi, e che il plurale di “elucubrazione filosofica” è “elucubrazione filosofiche”.
    Peccato che nessuno degli altri redattori di questo quotidiano – che ringrazio per l’ospitalità – sia del livello di Maganuco.

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