Revisione dello statuto siciliano e clausola di supremazia, ecco la minaccia del referendum

 
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Gela. Potere di destituzione sui presidenti delle Regioni, revisione dello statuto siciliano, avvio della “clausola di supremazia”,

penalizzazioni dei partiti siciliani autonomisti e indipendentisti, poca chiarezza sull’incompatibilità dei deputati all’Ars a ricoprire la carica di Senatore.

Sono questi solo alcuni degli aspetti che graverebbero sui siciliani se passasse la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi.

Ad accendere i riflettori sulla questione sono gli indipendentisti gelesi coordinati da Paolo Scicolone e Massimo Corrao.

“Il 4 dicembre i siciliani decideranno, attraverso il referendum costituzionale, il loro destino – spiegano – E’ sicuro che l’eventuale approvazione della riforma costituzionale oggetto del referendum produrrebbe ricadute inimmaginabili sull’Autonomia Statutaria della Sicilia, mettendone a rischio  persino quelle poche parti che ancora mantengono la loro efficacia”.

Ecco di seguito cinque ragioni, elencate dal movimento indipendentista, per stimolare i siciliani a tutelare i propri diritti votando No al referendum:

1) La riforma prevede per le regioni a statuto speciale una successiva revisione degli stessi statuti, da concordare con lo Stato. Ora, sappiamo che da tempo immemorabile lo Stato italiano, grazie anche alla complicità di una classe politica siciliana perennemente succube dei poteri romano-padani, ha sempre prevaricato i diritti costituzionali dei siciliani, con gravi ricadute sull’economia e sullo sviluppo dell’Isola. Immaginiamoci, ora, cosa potrebbe accadere in una trattativa in cui, da una parte c’è quell’Italia che ha sempre combattuto i diritti dei siciliani e dall’altra la politica  peggiore della Sicilia, pronta sempre a cedere a qualunque pretesa dello Stato per un misero tornaconto personale…

2) La riforma prevede anche il “potere di destituzione” che lo Stato ha sui Presidenti di Regione che incorrono in “grave dissesto finanziario”, principio che, in apparenza, sembra avere giustificazione ma che per la Sicilia, già privata delle propria Agenzia di Riscossione e da tempo in balia totale dell’arbitrio di chi dovrebbe girarle le somme spettanti per Costituzione, si trasformerebbe in una vera e propria arma di ricatto per tutti quei presidenti che si azzardassero a  rivendicare i diritti statutari dell’Isola.

3) Nella riforma c’è poi la cosiddetta “clausola di supremazia” con la quale lo Stato può riprendersi a piacimento qualunque competenza legislativa, amministrativa o finanziaria della  regione, con una semplice legge ordinaria della Camera, motivata dall’ “interesse strategico nazionale”, che in tal caso, paradossalmente, si porrebbe ad un livello superiore a quello delle stesse leggi costituzionali alle quali appartiene lo Statuto siciliano.

4) La riforma costituzionale oggetto del referendum non dice nulla sul fatto che lo Statuto Speciale siciliano preveda per i deputati regionali l’incompatibilità con la carica di senatore della Repubblica per cui la Sicilia, nel nuovo Senato composto proprio da consiglieri regionali e sindaci, si ritroverà senza rappresentanti dell’Assemblea Regionale.

5) La riforma penalizzerà quei partiti siciliani, autonomisti e indipendentisti, che vorranno rivendicare  i legittimi diritti della Sicilia, garantiti dallo Statuto Speciale e mai attuati dallo Stato, e ciò a causa degli sbarramenti elettorali vigenti per l’elezione dei deputati nazionali alla Camera. I siciliani saranno, ancora una volta, indotti ad affidarsi ai vecchi partiti italiani, nella speranza, rivelatasi ormai storicamente inutile, che questi ultimi possano venire in loro soccorso.

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