Rinzivillo “studiava” gli appalti, un summit a Busto Arsizio e la potente Lotus: i Romano in carcere non parlano

 
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Gela. Gli investigatori e i magistrati sono convinti

che il presunto nuovo boss Salvatore Rinzivillo stesse facendo di tutto pur di rimettere in sesto la struttura economica della famiglia.

Il summit a Busto Arsizio. I punti focali, così, non sarebbero stati solo il commercio ittico all’ingrosso e quello dell’ortofrutta, ma i Rinzivillo volevano entrare nei cantieri edili, anche quelli al Nord. I poliziotti del commissariato e quelli della mobile di Caltanissetta, insieme ai finanzieri del Gico, hanno ricostruito i rapporti intrecciati, in pochi mesi, dal capo. Così, entrano in scena il quarantanovenne Emanuele Romano e il figlio venticinquenne Alessandro, gelesi da tempo residenti in Piemonte, nella zona di Novara. I due si sarebbero messi a disposizione di Salvatore Rinzivilo, al punto da partecipare ad un vero e proprio summit, tenutosi circa un anno fa a Busto Arsizio, in provincia di Varese, da decenni al centro delle tratte delle cosche gelesi. Per gli investigatori, i due avrebbero avuto a disposizione anche armi. Insieme a loro, altri presunti fedelissimi dei Rinzivillo, Aldo e Rosario Pione, a loro volta titolari di aziende edili, attive in quella zona. Per gli investigatori, Salvatore Rinzivillo avrebbe avuto la disponibilità di ingenti risorse economiche.

La Lotus del presunto boss. Nel corso delle indagini, è spuntata anche una potente Lotus, che sarebbe stata nella sua disponibilità. Arrivato in città, il presunto boss avrebbe avviato la ricerca di un garage sicuro, dove parcheggiare e custodire l’auto, che da tempo sarebbe stata nell’effettiva proprietà della sua famiglia. “Ci chiamo, questa sera chiamo e ce lo diciamo insieme. Da Giovanni spazio non ce n’è, si sguaggiara tutta”, diceva Salvatore Rinzivillo ad un suo interlocutore. Emanuele e Alessandro Romano, intanto, in carcere non hanno parlato davanti al giudice delle indagini preliminari. Difesi dall’avvocato Davide Vitali, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Allo stesso modo, anche Antonino Romano, difeso dall’avvocato Francesco Enia, ha scelto di non rispondere.

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