“Romano in quel cantiere aveva già rischiato di morire”, la terribile fine dell’operaio: un militare, “per i tubi usati puntelli di fortuna”

 
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Gela. Una pozza di sangue e il casco protettivo a pochissima distanza.


L’incidente alla radice pontile. Questo vide uno dei militari della capitaneria di porto che per primo arrivò alla radice pontile della fabbrica Eni, nel novembre di cinque anni fa, quando trovò la morte l’operaio trentenne Francesco Romano. Il militare l’ha spiegato in aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, nel corso del dibattimento aperto contro manager Eni, vertici di Cosmi Sud, azienda alle cui dipendenze lavorava l’operaio, e responsabili delle società incaricate di garantire la sicurezza tra gli impianti della raffineria Eni. A processo, ci sono Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Fabrizio Lami, Mario Giandomenico, Angelo Pennisi, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Guerino Valenti, Rocco Fisci, Salvatore Marotta, Serafino Tuccio e Vincenzo Cocchiara. “Arrivai sul posto, dopo essere stato contatto – ha detto il testimone rispondendo alle domande del pm Pamela Cellura – il corpo di Francesco Romano era già stato trasferito sull’ambulanza del 118. Per lui, non c’era più nulla da fare. Io conoscevo già quel lavoratore. Circa quaranta giorni prima aveva rischiato di morire, venne raggiunto da una fiammata, mentre lavorava proprio nel cantiere per la realizzazione della linea P2 bis”. Il militare ha ricostruito quelle convulse ore. I primi veri sopralluoghi vennero effettuati la mattina successiva. “In base a quanto accertammo – ha continuato – da una catasta di tubi da trentasei pollici se ne staccarono cinque che andarono praticamente a colpire quello che doveva essere movimentato. Romano si trovò in mezzo e venne schiacciato. Ricordo, durante gli accertamenti, di aver individuato una traccia di sangue su uno dei tubi. Era l’impronta insanguinata della mano di Romano”. Per il testimone, quella catasta di tubi, collocata lungo la radice pontile dal 2005, non sarebbe stata messa in sicurezza. “Notammo puntelli di fortuna – ha spiegato – anche pezzi di legno. Di certo, non venne rispettata la normativa in materia”. Nel dibattimento, partii civili sono i familiari dell’operaio morto, costituiti con gli avvocati Salvo Macrì, Emanuele Maganuco e Joseph Donegani. I militari della capitaneria di porto intervenuti sul posto, che successivamente coordinarono per intero le attività investigative, verranno sentiti in aula anche alla prossima udienza.

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