Romano morto in raffineria, chieste sedici condanne: pm, “gravissime negligenze”

 
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Francesco Romano morì in raffineria

Gela. L’operaio trentenne Francesco Romano, deceduto nel novembre di otto anni fa in raffineria, non sarebbe stato vittima di una “tragedia”, ma “ingranaggio di una catena di montaggio di una macchina di morte”. Così ha detto il pubblico ministero Luigi Lo Valvo, nella lunga requisitoria che lo ha condotto a chiedere la condanna di tutti gli imputati e delle società coinvolte.Tra le accuse, quella di omicidio colposo. Un totale di quasi cinquanta anni di detenzione per manager Eni, imprenditori di società dell’indotto e di aziende incaricate dei controlli sulla sicurezza. L’operaio venne travolto almeno da un tubo di ventiquattro metri, da otto tonnellate, staccatosi da una catasta collocata nell’isola 6 di raffineria Eni. Per lui non ci fu nulla da fare. Venne schiacciato, senza possibilità di evitare la terribile fine. Il pm Lo Valvo (in aula c’era anche il procuratore capo Fernando Asaro) ha parlato di “gravissime negligenze”, di “vizi eclatanti”. Secondo quanto spiegato dal magistrato, nell’area di cantiere non sarebbero state rispettate neanche le “più elementari misure di sicurezza”. Ha condotto una lunga disamina, anche tecnica, sulla catasta dei tubi presenti nell’area e sul fatto che, senza un’adeguata valutazione delle misure da adottare, la radice pontile dello stabilimento sia stata trasformata anche in zona per la prefabbricazione, oltre che per lo stoccaggio e il prelievo dei tubi. Un mese prima, sempre Romano rimase ferito in un altro incidente sul lavoro. La Cosmi Sud, azienda per la quale lavorava, aveva acquisito commesse per le attività di sostituzione della linea P2. “C’era fretta di finire i lavori – ha proseguito il pm – per non incorrere nelle penali del contratto”. La catasta, quel 28 novembre 2012, sarebbe stata in “totale disequilibrio”, ha proseguito il magistrato. Si sarebbe retta su perni di fortuna. Le difese di tutti gli imputati hanno invece sempre sostenuto la regolarità tecnica delle procedure adottate.

Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per Rocco Fisci, Marco Morelli, Patrizio Agostini, Sandro Iengo e Vincenzo Cocchiara; tre anni, invece, per Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zaneroli, Alberto Bertini, Guerino Valenti e Serafino Tuccio; due anni e sei mesi ad Angelo Pennisi e Salvatore Marotta (con il riconoscimento delle attenuanti generiche); due anni, infine, per Nicola Carrera, Fabrizio Lami e Mario Giandomenico. Rispetto alla posizione di Raffineria, dall’accusa è stata mossa la richiesta di condanna al pagamento di 500 quote (1000 euro a quota). 500 quote anche per Pec srl (750 euro a quota), 1000 quote per Scs Sertec (1.200 euro a quota) e 1.000 quote a Cosmi Sud (800 euro a quota). Dalla requisitoria è emersa una presunta filiera di irregolarità e misure di sicurezza violate. I familiari dell’operaio morto hanno seguito l’intero procedimento e anche questa mattina hanno assistito alla requisitoria del pm. Sono parti civili, con i legali Salvo Macrì, Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco. Toccherà proprio alle parti civili concludere, nel corso della prossima udienza. Poi, lo spazio verrà riservato alle difese, che probabilmente fonderanno le loro conclusioni su dati e documentazione tecnica. Il giudice Miriam D’Amore, davanti al quale si tiene il dibattimento, ha stilato un calendario che si concluderà con la pronuncia della decisione, probabilmente entro fine anno.

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