Sedicesimo capitolo – Attentato in Vaticano

 
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La sera, Lorella e Dario si incontrarono a cena, in un fine ed esclusivo ristorante di Roma.

Dario la raggiunse con la sua autovettura privata, mentre lei alcuni minuti prima era giunta nel locale accompagnata dagli uomini della scorta.

La donna come sempre era elegante.

Indossava un vestito di seta nera, dall’orlo asimmetrico e una giacca di pelo lungo, colorata lilla, con una piccola borsa ricamata che teneva in mano, calzando scarpe a punta in fantasia maculata dello stesso stilista,  sembrando nell’abbigliamento e nell’attesa di avere un appuntamento galante.

Dario invece aveva cambiato look e scelto l’abbigliamento sportivo, indossando un paio di pantaloni blu, portati con la camicia azzurra, un po’ aperta, e un giubbotto di pelle nera, con i capelli e il pizzo brizzolati che erano in netto contrasto con gli occhi neri e la faccia scura.

Sembrava un uomo diverso, e senza baffi dava un aspetto ancora più giovanile, svecchiato di dieci anni.

Trovò Lorella più affascinante delle precedenti serate, anche se il pomeriggio l’aveva vista perdere il sorriso, poiché lei lo aveva informato degli ultimi sviluppi del caso giudiziario sui terroristi islamici e dell’incontro avuto negli uffici in procura con Fabrizio.

L’uomo ordinò al capocameriere la bottiglia di champagne francese e, rivolgendosi alla donna, fecero una conversazione seria ma sotto tono, durata inizialmente pochi minuti, visionando il menù con certosina pigrizia, contenti però che alla fine della cena e prima delle ventidue  e trenta sarebbero andati al Sistina per assistere a uno spettacolo teatrale.

Fuori, la serata era fredda, ma dentro il locale si stava piacevolmente al caldo di un camino, in compagnia delle note del pianista che allietava gli ospiti.

Lorella si complimentò con il compagno, ridendo dell’abbigliamento chic ma sportivo, inusuale all’esperto magistrato ultra cinquantenne, e a suo dire poco consono alla successiva partecipazione serale in teatro.

Di pomeriggio, nonostante si fossero detti al telefono di lasciarsi alle spalle gli argomenti di lavoro, Dario s’era mostrato teso  per gli ultimi avvenimenti; in realtà, era ancor più preoccupato dell’apparizione di Fabrizio che aveva dato alla donna, come da lei stessa confessato, una nuova luce ai suoi occhi azzurri.

Gli raccontò che averlo visto, inspiegabilmente l’aveva liberata dall’odio che la stava lentamente distruggendo.

La notizia colse l’uomo impreparato, infastidendolo fino al punto di lanciarsi in sottili invettive contro l’avvocato Berti, che suscitarono in lei non pochi sospetti.

Lei capì che il collega le voleva bene, però era un po’ invidioso ed  incapace di controllare le sue parole e le emozioni, mentre lui le disse sornione ma curioso: 

“Dimmi la verità, Lorella: sei ancora innamorata del tuo avvocato?

La ragazza, a sentire la domanda detta di stizza in quel modo, rise   rispondendogli che era buffo vederlo così geloso; in fondo gli aveva detto chiaramente che pensava di lui che fosse un amabile collega ed un sincero amico, che quel bacio che si erano scambiati era qualcosa di più di una tenera amicizia, ma lei si sentiva libera da qualsiasi vincolo affettivo, poiché la fine della precedente relazione d’amore le era costata molto e non voleva ricadere nell’inferno, perdendo la serenità conquistata giorno dopo giorno. 

Continuò a confidargli che, comunque,  l’avere rivisto il giovane, le aveva suscitato dei tumulti al cuore e le dispiacque averlo sentito lontano, diverso.

Dario fu colto da un altro fremito di paura, evidenziando la sua preoccupazione, perdendo la quiete che sino a quell’ora aveva avuto.

“Sai, non avrei mai creduto di sentirti dire queste frasi.

E’ come se lui ti avesse tradito due volte. Sono ancor più convinto che non merita il tuo amore e il tuo rispetto”.

“Non lo so”, rispose pacata la donna.

“Sono sicura però che le colpe vanno divise in due, a metà.

Pensavo che lui fosse un arrivista, invece è un ragazzo meraviglioso, pronto al sacrificio, anche della sua stessa vita.

Ma non importa.

Io l’ho perso e lui si è dato da fare.   

E’ così; la vita continua!

Adesso eccomi qui, con un’amabile collega, la cui voce e le   attenzioni mi rendono serena”.

A sentire quelle frasi, Dario si acquietò.

Lei aveva vissuto la fase dell’odio che la stava distruggendo; ora il sentimento di vendetta iniziava a cedere il posto all’indifferenza e questa, forse, lo avrebbe aiutato a conquistarla, definitivamente.

Il cameriere servì gli squisiti piatti che furono ordinati alla carta dai due colleghi; i cibi si presentarono ai loro gusti fini e ricercati.

Dario, nel corso della cena, la vide più smagliante e raggiante di prima; si convinse che la sua presenza le fosse gradita, e che la donna iniziasse a innamorarsi.

D’istinto  e rompendo gli indugi, le disse “guardami negli occhi”, confessandole il suo amore.

Lorella, non rimase sgomenta dagli occhi dolci di Dario e dalle parole d’amore dette a mezza voce; non si arrabbiò né si sentì grata, ma volendo più quieto l’irriducibile compagno serale che si era fatto temerario, con il sorriso e la voce sensuale, lo richiamò a essere l’amabile collega che era.

Poi, con immensa sorpresa, a volerlo frenare e ridimensionare, riportandolo nell’alveo naturale dell’amicizia, gli rispose glissando la domanda:

“Dario, ma tu sei un uomo sposato”.

Non aggiunse altro, come fanno le donne che vogliono spiazzare i propri corteggiatori navigati e maturi; dopo, come a giustificarsi, osservò che non le interessavano quel tipo di uomini.

“Sei un uomo sposato, e certamente rispetti tua moglie.

Debbo confidarti che a me piaci; sei gentile, premuroso, intelligente e maturo”.

Era strano parlargli a tu per tu, toccare degli argomenti  così intimi e personali; però lui era entrato nella sua vita più di quanto lei stessa credesse, e parlargli senza nessun segreto la mise straordinariamente a suo agio, sentendosi capita ed amata.

Dario invece si sentì precipitare in un vortice profondo di sensazioni, in caduta libera e senza alcun riparo, dichiarandosi anche dispiaciuto perché lei gli dicesse ch’era un uomo ammogliato, mettendolo in un angolo solo per quel motivo, comunicandole che il giorno prima si era rivolto ad un esperto avvocato divorzista del foro di Roma, al fine di presentare subito il ricorso per separazione giudiziale dalla coniuge, con la domanda di addebito della colpa alla moglie.

“Mi dispiace”, replicò Lorella.

“Io non ho il diritto di lamentarmi, ma credimi, è passato molto tempo da quanto la tua storia d’amore è finita”, chiosò lei.

“Lo so”,  continuò, “hai voglia di rifarti una vita.

Io però voglio starmene sola, a guarire le mie ferite; e poi desidero conoscermi.

L’uomo, a sentire quelle parole, fu colto da un impeto di rabbia che riuscì a contenere: Lorella era stata quasi sua, l’aveva portata a mostrare i suoi sentimenti, baciandola e facendosi ricambiare il gesto di piacere; ora lei invece di gettare via ogni resistenza, replicava dicendogli di avere bisogno del tempo, di volere meditare e starsene da sola.

“Che rabbia”, pensò.

Gli passò l’appetito e non fece a meno di guardarla con avida attenzione, spostando gli argomenti della conversazione sugli occhi della donna, che gli sembrò quella sera più affascinante e intrigante del solito, comunicandole una bella notizia che l’avrebbe fatta felice.

“A breve riceverai la lettera ufficiale dell’incarico presso l’ufficio del magistrato dell’ONU a Vienna.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha dato il suo assenso ed il ministro di giustizia controfirmerà la mia proposta”.

Lorella sorrise, sprizzando gioia da ogni poro della sua pelle.

“E vai… “, disse quasi gridando, ed esultando in un istinto di contentezza che attirò l’attenzione degli ospiti del noto e chic ristorante.

“Penso che i nostri progetti stiano trasformandosi in realtà; e tu sarai presto il super procuratore della direzione nazionale antiterrorismo: gli eventi corrono nella giusta direzione”.

“Mi fa piacere che tu sia felice”, le puntualizzò a mezza voce, abbassando il tono del dialogo, a tutela della loro privacy, non volendo spezzare l’atmosfera festosa che si stava ricreando con l’affascinante collega, la quale gli rispose dicendo di avere la sensazione che c’erano in arrivo giorni migliori, e la procura di Roma ne sarebbe uscita rafforzata nell’immagine e nella professionalità.

“Su questo non ho alcun dubbio”, sottolineò Dario, con un sorriso dai denti aguzzi, colto dall’irrefrenabile attrazione verso la ragazza.

Lorella prese il suo calice di champagne e, invitandolo ad un brindisi, iniziò a bere a piccoli sorsi.

Si sentì felice; i momenti tristi erano dietro le spalle, la visita di Fabrizio l’aveva solo confusa.

Con Dario si sentiva straordinariamente in confidenza e voluta bene: lui  ne conosceva i progetti, i segreti, i desideri,  ed era sicura che nel momento del bisogno lui sarebbe stato lì, vicino a lei.

“Sai, tutte le mie energie sono rivolte al nostro lavoro ed all’immagine dell’ufficio; ho sacrificato anche la mia voglia di essere madre, di avere dei figli, pur di raggiungere traguardi ambiziosi”, disse commossa.

“E’ stupefacente”, continuò.

“La mia vita personale è stata sconvolta dagli eventi dei quali tu conosci ogni intimo aspetto, poi l’inchiesta sulla cellula terroristica a Roma è entrata nella fase più calda, dunque dovrei essere tesa, infelice; invece sento di toccare il cielo con un dito”.

Sorseggiò sola una goccia di champagne.

Dario avrebbe voluto riportarla con i piedi per terra, ma preferì non puntualizzare le difficoltà che l’ufficio della procura della repubblica stava incontrando nel condurre a buon fine l’intrigato caso giudiziario.

Riprese la parola Lorella, felice, sorridendogli raggiante e invitandolo a bere un altro bicchiere di champagne, che nel frattempo l’uomo versò nei loro calici.

Cogliendo l’invito al nuovo brindisi, Dario iniziò a sorseggiare dal suo bicchiere, senza togliere lo sguardo carico di desiderio dalla donna che gli apparve più sensuale e smagliante.

Lei stava uscendo da una vicenda personale che l’aveva coinvolta emotivamente, mettendole sotto sopra il suo mondo interiore, ora iniziava a essere felice.

L’uomo non voleva che la ragazza cadesse nella trappola dei pensieri antichi, ed era anche entusiasta dell’affetto che gli rivolgeva; la giovane  ed intelligente collega era anche abile nei dialoghi e gli confidava ogni cosa, con i suoi desideri più intimi e segreti.

Bastava guardarla per capire cosa pensasse.

Poi, riferirle che nel lavoro era brava e la sua carriera in ascesa, quella sera la rese divina e ancor più bella.

Dario decise che era giunta l’ora di costringerla a tagliare il cordone ombelicale con il suo passato, dimenticando Fabrizio e pensando al futuro, dove avevano insieme un ruolo da protagonisti: aggiunse che se lei lo voleva, la serata era l’occasione per rivelargli le sue verità nascoste ed essergli completamente sincera.

In realtà il procuratore mirava a conoscere i suoi punti vulnerabili, costringerla a gettarsi dietro le spalle i ricordi del passato e a dimenticare l’avvocato Berti, definitivamente.

“Sei arrivata a conquistarti un ruolo di primo piano solo grazie alle capacità professionali e alle tue doti di investigatore.

Mi hai parlato della tua vita con Manlio, un negletto marito, avido di denaro, insensibile ai desideri di una bella moglie, facendoti sentire una sua creatura. In fondo anche Fabrizio era un uomo egoista che anteponeva il suo carattere al tuo, mostrandosi intelligente e creativo, intuitivo e previdente; ma lui sfruttava solo la scia della tua classe, del tuo ingegno.

Invece era vero il contrario; e ora tu lo sai.

I risultati investigativi ottenuti dalla procura di Roma, nelle indagini contro la colonna romana delle brigate rosse derivano dalla tua bravura di giudice inquirente e non dalle intuizioni di chicchessia.

Poi, l’avvocato Berti non ha sostenuto la difesa dei terroristi islamici, facendoceli scappare dalle mani? Non credo che fosse in malafede.

Tu invece hai intuito la verità e la gravità dei fatti, mostrandola davanti al tribunale della libertà di Roma, sostenendo la tesi che le attività commerciali degli indagati fossero una fine e cinica copertura al piano criminale e non ti sbagliavi.

Sei intelligente e intuitiva, come nessun altro collega; ami la verità, e a differenza degli uomini del tuo passato, odi ogni forma di circuizione e di violenza della stessa.

Meriti ammirazione e rispetto”, concluse deciso.

La donna, seduta diritta sulla sua sedia e con i polsi appoggiati sul tavolo illuminato a luce di candela, lo sentì attentamente, abbandonando il sorriso che aveva tra le labbra, ponendosi in atteggiamento di ascolto, considerando la loro amicizia come il solido fondamento al suo presente, senza sospettare che Dario la stesse adulando al fine di conquistarle non solo l’amicizia, della quale oramai era certo, ma anche il cuore.

Non appena lui finì di riferirle i fatti così come li vedeva, Lorella si aprì con tutta se stessa, riponendogli la sua fiducia, senza limiti e riserve, confidandogli il passato, sentendosi grata per l’ammirazione che gli suscitava.

“Si è vero, mio caro; avrei tante cose da dire e  da raccontarti.

La mia vita è costellata dalle continue lotte per affermarmi come donna, senza scendere in compromessi o vendendo la mia dignità.

A sedici anni ho abbandonato la mia casa per vivere a Roma,  come altre migliaia di fanciulle attratte dal mondo della moda e dello spettacolo; feci mille mestieri pur di vivere, pagarmi la retta in un collegio di suore dell’ordine delle carmelitane e riuscii a diplomarmi.

Lavoravo in un programma televisivo, come comparsa in uno spettacolo, iniziando a conoscere il mondo e gli uomini.

Una sera sono andata a una festa, in un party organizzato dallo scenografo, e lì conobbi Manlio.

Lui inizialmente pensava che io fossi una donnina leggera, come le altre ragazze presenti.

Invece gli dimostrai il contrario e diventammo subito amici; frequentandomi, lui comprese che ero una ragazza con la testa sulle spalle.

Mi fece una corte spietata, coprendomi di mille regali,  di inviti a cena e mazzi di rose, e contro il parere dei suoi genitori mi chiese in sposa.

Avevo appena diciotto anni quando ci sposammo ed entrai a vivere in una delle famiglie più nobili di Roma; incoraggiata da Manlio, continuai i miei studi, iscrivendomi all’università in giurisprudenza, laureandomi alla Luiss senza alcun ritardo, con il massimo dei voti.

Ero la signora Borghese, felice, ubriaca di amore e di attenzioni; partecipai al concorso in magistratura, lo vinsi ed espletai fuori Roma il mio primo incarico di uditore giudiziario: non c’era un salotto della Roma bene dove io non fossi ammirata.

Ero una giudice, sia pure alle prime armi, e la moglie dell’avvocato Manlio Borghese, considerata quasi una nobile in carriera, e i fotografi, la gente, le mie amiche sempre me lo ricordavano, quando…”

Il racconto di Lorella si fermò, la sua voce si spense, e le lacrime le resero gli occhi lucidi; lei non ebbe il coraggio di continuare.

Dario avrebbe potuto giudicarla,  non era giusto violare la privacy del consorte, ma ebbe un morbido impeto di curiosità.

“Che cosa?”

 Aggiunse Dario, mostrandosi attento e dolce, con lo sguardo indulgente che la invitò di essergli schietta.

Lei continuò: 

“Quando scoprii che Manlio era ambiguo”, sbottò con rabbia la donna.

“Avevo sentito delle dicerie sulla sua presunta omosessualità, o meglio  sulla sua bisessualità,  ma non avevo creduto ai giudizi di amoralità che  nei salotti della Roma bene erano all’ordine del giorno anche su altri miei amici, che invece non lo erano.

Mi sentii tradita.

Decisi di affrontare apertamente Manlio, gli chiesi delle spiegazioni, ma delle verità nascoste si svelarono.

Lui andò su tutte le furie, accusandomi di essere una donna cinica e calcolatrice, arrogante e insensibile.

Mi disse che per me aveva sfidato le ire dei genitori, trasformato una ragazza di provincia in una nobildonna istruita, usato le sue conoscenze più riservate onde assicurarmi  il massimo dei voti e la lode ogni volta che sostenevo un esame all’università, aiutandomi infine a essere una vincitrice del concorso in magistratura, ed io lo ricambiavo con delle accuse.

E seppi che era vero…”

Ancora una volta il racconto s’interruppe, e l’interlocutore la spronò.

“E allora?”, curiosò Dario, al quale subito lei rispose.

“Ero in Sicilia, a Catania, titolare dell’ufficio di giudice del tribunale monocratico.

Iniziai a uscire con altri uomini che mi intrigavano, corteggiandomi senza avere il coraggio di farsi avanti, sino a quando conobbi l’avvocato Berti.

Fabrizio era un giovane penalista del foro di Catania, sempre affabile e sorridente.

Le sue e le mie colleghe andavano pazze per lui, e io decisi di abbordarlo”.

A raccontargli la sua avventura, le guance le divennero rosse, preoccupandosi di essere giudicata come una donna leggera e, con il sorriso impacciato, strizzando gli occhi, si scusò della franchezza.

Dario le assicurò che non l’avrebbe giudicata, dicendole che il vero amico sa ascoltare, nel silenzio e nel rispetto.

Lorella ruppe gli indugi.

Raccontò che aveva fatto di tutto pur di farsi notare dall’avvocato Berti, informandosi di ogni sua mossa ed amicizia, ma il giovane era sempre indaffarato in altri pensieri, quasi nemmeno la guardava, fin quando lei non trovò un abile espediente per trattenerlo vicino, chiamandogli, nel corso di una udienza dibattimentale, alle sette di sera, una causa da lui patrocinata, chiedendogli alla fine   di aiutarla a portare i fascicoli dall’aula udienza fino al ufficio posto al primo prima dell’ala del tribunale.

Dario, ascoltando dell’immediato interesse della donna su Fabrizio, fu colto dalla gelosia che seppe nascondere, invitandola ad andare avanti e a non preoccuparsi di sentirsi leggera ai suoi occhi.

“In fondo, quando si è innamorati ogni arma è lecita”, aggiunse il procuratore.

“E’ vero”,  rispose Lorella, ridendo e riprendendo seria il racconto.

“Fabrizio capì la mia invadenza, definendomi carina e prepotente, ma iniziò a corteggiarmi, innamorandoci entrambi pazzamente.

E non c’era un momento della giornata che io e lui non avessimo il pensiero verso l’altro.

Ci telefonavamo di prima mattina, addirittura Fabrizio era solito passare di buon ora nella mia abitazione di Corso Italia e non andava subito al lavoro,  nel suo studio o in udienza, se prima non avesse fatto con me all’amore.

Ci siamo amati appassionatamente, intensamente, e grazie a lui ho trovato la forza di abbandonare Manlio, definitivamente e senza alcun rimpianto.

Fabrizio mi fece capire quanto fosse importante amare un vero uomo e fare del sesso.

Era insaziabile, dolce, prepotente, e io ne divenni la migliore amica, la sua donna e lui il mio amante.

Di pomeriggio passava in ufficio, stavamo a parlare, insieme ore e ore, guardandoci negli occhi, e anche quando avevamo una visione del mondo diversa, ogni volta che le nostre mani si prendevano, stringendosi, tra noi scendeva una magica attrazione e ci  baciavamo intensamente,  irrefrenabili fino a spogliarci dei nostri vestiti con avidità, e la passione ci travolgeva.

Ricordo che inizialmente lui aveva del pudore, non sentendosi a suo agio nel fare all’amore dentro un ufficio giudiziario, nella stanza di un magistrato.

Dopo, non gli importò più nulla quando capitava che qualcuno venisse a bussare alla porta.

Il desiderio e la libido erano così irrefrenabili che alcuna cosa importava.

La sera poi passava da casa mia,  si usciva e gironzolavamo con la sua inseparabile autovettura a Catania by night, sotto un cielo stellato ed il clima invidiabile a ogni stagione, percorrendo le strade principali della città, costeggiando il lungomare, fino alla scogliera, dove ci appartavamo a parlare per lunghissimi minuti, raccontandoci la nostra vita, vivendo di emozioni e facendo nuovamente all’amore, scambiandoci ancora  i baci e le carezze, colti dall’insaziabile  voglia di possedere il corpo dell’altro.

Fare all’amore in automobile era un’emozione unica.

Pensa che una volta, mentre eravamo abbracciati e attenti solo l’uno verso l’altro, un agente di polizia bussò sul finestrino a lato del conducente, chiedendoci i documenti e contestandoci il reato di atti osceni in luogo pubblico”, continuò a dire la donna, con il rossore in volto che le colorò le guance, riprendendo a riderci sopra.

Fortunatamente, Fabrizio convinse l’agente di polizia che l’essere appartati escludeva il reato e che lo stesso pèoteva essere accusato di essere un guardone e di  aver visto male”.

Raccontare tutto al procuratore era stato una panacea, una valvola di scarico alla perdita di quel mondo di emozioni e di sentimenti che si era portata dietro due anni e che aveva perduto da appena alcuni mesi, non riuscendo a frenarsi nel racconto e nelle brevi risate, smorzate dai rumori del locale e dai toni bassi, leggermente isterici.

Senza accorgersene, nuovamente Lorella era vicina a una crisi di nervi, e riferire le sue emozioni d’amore  senza veli e alcun pudore le rinnovò le ferite.

Dario si innervosì, sentendosi geloso, tradito e desiderandola più di quanto pensasse, valutandola non solo come una donna dolce e sensuale, tenera e intrigante, ma anche ammaliante, trasgressiva e senza alcun freno.

Era la donna che aveva sempre desiderato.

Sentirla parlare così, intanto, gli suscitò una piacevole libidine e lo caricò di desiderio.

Vinse le sue paure e le domandò se da mesi non avesse più fatto l’amore.

Non era difficile indovinare e lei, disinibita dallo champagne, disse di sì, che aveva voglia: il desiderio d’amore di una donna non si vive solo al cinema o nei romanzi, gli rispose sicura.

Continuò a raccontare che aveva sedici anni quando fece all’amore la prima volta.

“Lui era un bravo ragazzo di Milano, in servizio militare a Roma.

Sentivo di amarlo, di volergli bene, ma dopo un mese di addestramento, gli arrivò il trasferimento in una caserma di fanteria vicino la sua città.

Partì, ci siamo sentiti solo alcune volte e non l’ho più rivisto.

Studiava alla facoltà di ingegneria civile  del politecnico di Milano, aveva appena vent’anni ed era bellissimo.

Ricordo che stavamo insieme ore e ore, a passeggiare sul Pincio e ammirare il cupolone di San Pietro, stando ai giardini seduti su una panca, a parlarci tenendoci mano nella mano; spesso avevamo un appuntamento a piazza di Spagna o presso la fontana di Trevi ed erano sempre dei pomeriggi e delle serate romantiche.

Erano gli anni migliori, quelli dei sentimenti più teneri e violenti, ma allo stesso tempo vissuti superficialmente: lui era orgoglioso di studiare l’ingegneria e sognava ad occhi aperti, con la passione di costruire magnifici ponti, io volevo fare teatro ma non avevo i soldi per frequentare la scuola d’arte.

E’ strano; ho dimenticato subito quel ragazzo, e adesso non ne ricordo neppure il nome.

Ho sempre detto che Manlio è stato il primo uomo della mia vita e Fabrizio l’unico amore…”

La voce della donna si fece confusa, più lenta, quasi assente a mostrare delle emozioni; Dario, per un attimo, abbandonò l’idea che gli andava macinando dentro di desiderarla e portarla a letto, sentendo dell’affetto per l’amica, la cui conoscenza più intima e quella confessione la fecero apparire non solo come la personificazione della donna ideale, intelligente e professionale, giovane e bella, calda e sensuale, ma anche debole, incerta e forse un po’ bugiarda.

Da buon inquirente, pensò che fosse difficile per una donna dimenticare il nome del suo primo ragazzo, dell’uomo che l’aveva sverginata, mostrandole il piacere del sesso.

Valutò anche l’ipotesi che ai tempi, lei fosse ancora una ragazzina che da Venezia s’era trasferita a Roma, senza molti soldi, certamente con l’unica preoccupazione di raggiungere gli obiettivi che s’era prefissa, che quel giovane militare fosse stato solo una parentesi delle sue prime emozioni, invece l’amicizia con Manlio l’aveva galvanizzata solo perché lui era la sua chiave utile a introdurla in un mondo diverso, ricco e interessante, che lei in realtà aveva sempre desiderato, tanto da lasciare i genitori e recarsi nella capitale.   

Seduto comodamente sul tavolo, dialogando con l’affascinante collega, era in grado di poterla giudicare; e conoscerla gli sembrò essenziale per averla.

Capì che era più vulnerabile di quanto pensasse.

Decise di conquistarla quella stessa sera, facendo segno al cameriere di avvicinarsi a sé e di portare al tavolo un’altra bottiglia di vino francese.

S’era fatta sera ed erano passate le undici.

La cena era piacevole e i dialoghi scorsero come fiumi, accompagnati da un’altra, due coppe di champagne che allietarono la serata e colorarono di sorrisi anche il viso di Dario, sempre teso ed attento, pronto a cogliere ogni segno delle emozioni della ragazza, mostrandosi visibilmente interessato ad ogni suo lineamento e oggetto, adulandola per i colori degli occhi, per i capelli ambrati che scendendo sulle spalle le donavano freschezza, per i gioielli che accompagnavano il suo abito da sera e non offuscavano il decolté ed i piccoli e sinuosi seni.

Aveva una donna da conquistare, non poteva certo illudersi che il suo fascino ne avrebbe vinto subito le resistenze, come se lui fosse l’uomo dei sogni o avesse da offrirle l’elisir dell’amore.

Della donna conosceva anche il piacere di sorseggiare del buon vino francese,  lei però non era abituata a berne più del solito.

“Sei bella e affascinante. Se io mi dovessi innamorare di te, ti amerei per sempre”, le pronunciò candido.

Lei scosse la testa, a dire che non era possibile, volendogli interpretare i sentimenti che erano solo di affetto ad un’amica.

“Lascia che sia io a giudicare chi tu sia per me”, gli rispose laconico Dario, con lo sguardo serio ed imperioso, tenendola in soggezione, iniziando a sentirla in suo possesso.

La donna apparve confusa, incerta nelle obiezioni, sorridendo imbarazzata ed evitando titubante di guardarlo diritto negli occhi, sentendosi grata delle adulazioni che la confusero e le suscitarono emozioni.

Lei lo sapeva, e lui iniziò a capirlo.

Doveva solo insistere, starle addosso, stordirla di sguardi, rimuoverle i sensi di colpa ed usarle della piacevole violenza per attirarla a sé, definitivamente.

Lorella era rinchiusa nell’angolo e non lo sapeva.

Dario le parlò pronunciandole parole dolci e sensuali, mettendola a confronto con la propria coscienza, suscitandole un interesse.

“Vorrei che anche tu mi dicessi cosa pensi di me”, replicò deciso all’affascinante compagna, ma con lo sguardo fiero e cupo, che la stordì quanto lo champagne: oramai era una questione personale e c’era in gioco la sua abilità non più nascosta di latin lover e di maschio.

La desiderò più di ogni altra cosa,  e gli importava averla.

Sapeva che non era la sua escort lady o mistress girl del fine settimana, ma per Dio, ogni donna aveva un prezzo e lui aveva dato a Lorella quello che lei voleva, condividendo le decisioni più importanti dell’ufficio, coinvolgendola nella gestione di delicate indagini, infine l’aveva proposta a coprire gli incarichi di prestigio.

Ora lui era pronto a riscuotere il premio.

In fondo glielo aveva implicitamente confidato la stessa Lorella che anche lei aveva un prezzo.

Era stata di Manlio, divenendo sua moglie solo perché l’aveva introdotta nel mondo della Roma bene, dimenticando per lui un giovane studente d’ingegneria che a dire della donna era bellissimo, si era invaghita perdutamente di Fabrizio, volendogli rubare quella freschezza che lei pensava di non avere mai avuta: era l’ora di essere sua, del procuratore capo che all’interno della procura della repubblica di Roma l’aveva coccolata, messa sul piedistallo delle attenzioni e degli onori.

Le disse di brindare ancora con una coppa di champagne, guardandola con lo sguardo avido, impavidamente pieno di libido, sentendola sotto il suo controllo, sicuro che quella sera l’avrebbe posseduta.

Pensò che anche le escort sono delle ammalianti accompagnatrici; le più belle non parlano di prezzo anche se sanno di essere pagate care, poi a cena sono delle signore di classe, affascinanti e di charme.

A letto invece sono solo delle puttane.

Lorella così gli apparve, nuda della morale, spoglia della sua coscienza che gli aveva confessato.

Sibillino le comunicò con il sorriso in bocca, mostrandole i denti e facendola sussultare, che gli piaceva pensare di lei che fosse la sua creatura.

Era passata da poco la mezzanotte; ancora Lorella e Dario non avevano lasciato il locale.

Oramai era tardi per raggiungere il teatro Sistina, dove quella sera alle dieci e trenta era previsto uno spettacolo al quale di pomeriggio avevano deciso di assistere, ma forse non era la serata.

“No, no è la serata”, obiettò lei sicura.

Lorella aveva parlato dei suoi problemi, dei suoi sogni e dell’amore; i due si erano dilungati a dialogare.

La ragazza notò anche che era una strana conversazione, diversa da quelle dei giorni precedenti, nella quale l’uomo le continuava ad apparire l’amico fidato, però si era fatto più invadente e, in un modo o nell’altro, la dominava.

Era entrato nella sua vita lentamente, ora rivendicava il ruolo dell’amico unico, esclusivo e,  per di più, si era dichiarato innamorato.

La dottoressa Alfieri era un po’ brilla a causa dello champagne che le piaceva; tuttavia non era abituata a berne oltre  il bicchiere.

Chiese a Dario di accompagnarla a casa.

Era stanca e voleva dormire.

Uscirono dal locale.

La macchina di Dario e la scorta raggiunsero veloce l’abitazione della collega.

Prima che ella lo salutasse, augurandogli il ritorno a casa e la buona notte, lui volle accompagnarla nel suo appartamento.

Lei non si sentiva bene, le girava la testa.

Aveva una gran voglia di mettersi a letto, rimanere da sola, riposare; e nonostante gli avesse detto di vedersi l’indomani in ufficio, capì di non riuscire ad allontanarlo, impotente a troncare gli inviti decisi dell’uomo che si disse preoccupato e dunque la seguì davanti l’uscio della porta.

Entrarono nell’appartamento, la ragazza quasi barcollò.

L’uomo si offrì di accompagnarla a letto; lei ne aveva bisogno ma,  tenendola appoggiata sulla sua spalla, sorridendo le disse che brilla la trovava più bella e affascinante.

Si portarono nella camera.

Seduti nel lettone, Dario l’abbracciò, attirandola, sussurrandole dolcemente che le sarebbe stato sempre vicino.

“Lasciami stare Dario; ti prego”.

Stordita dai fumi dell’alcool e con poca forza, Lorella replicò di sentirsi stanca, sfinita, senza voglia di discutere, ma il compagno la circuì, standole addosso.

“So quanto ti piace il tuo lavoro.

Vedrai che presto raggiungerai nuovi traguardi; l’ufficio del magistrato legislativo dell’ONU a Vienna, consideralo tuo.

Adesso però non voglio parlare di incarichi negli uffici giudiziari  e di onori.

Penso che questo non sia il momento, soprattutto alla presenza di una bella donna”, puntualizzò Dario, facendole scivolare la mano sulla spalla e su un fianco, con il gesto carico di libido e di desiderio, che la donna intuì essere invadente e temerario.

A lei quel gesto parve più di un’avance che forzò la sua volontà, alla quale però inspiegabilmente non seppe resistere.

Si trovava in camera, sola con un uomo elegante e piacevole, che quella sera le aveva fatto la corte spietata, senza riuscire ad allontanarlo.

Lui le si strinse addosso, abbracciandola.

Lei aveva voglia di scappare, di nascondersi, ma non glielo permise, braccandola, impedendole ogni scusa.

“Sei mia, Lorella”, le intimò, con la vece famelica e predona.

D’un tratto, lui la baciò sulla guancia con un tenero bacio, e le tirò giù la lampo  del vestito, fino alla schiena, abbassandole le sottile spalline, iniziando a baciarla con la lingua, sul collo e nel petto.

“Dario, no, non voglio. Lasciami stare”, gli supplicò.

“Sì che vuoi”, le disse l’uomo con la voce ritornata all’apparenza mite e sicura.

“Stasera mi hai confessato che hai il desiderio di fare all’amore ed ora non puoi tirarti indietro”, osservò l’uomo, mentre insisteva, non lasciandole il respiro ed il tempo di studiare la difesa con la quale riuscire ad allontanarlo, infine spogliandola del vestito da sera, lasciandole addosso solo la lingerie, perché così gli sembrò più sexy ed eccitante.

Lorella era stordita e con l’anima in fiamme.

Erano mesi che non faceva all’amore,  il suo corpo era pieno del desiderio di un uomo e lui la accarezzava in mille modi quando iniziò a baciarla in ogni parte del corpo, distraendola e procurandole il piacere.

Dario era un uomo esperto e raffinato, che da anni conosceva le donne e sapeva procurare loro forti emozioni, fino a farle cedere alle lusinghe, alle sue voglie, ma Lorella non volle abbandonarsi; non così.

“Non mi  sento bene”, gli obiettò.

Nuovamente, lui l’attirò a sé con la forza e, prima che la donna riuscisse a fargli resistenza, la distese nel letto e le fu sopra con il suo corpo che le bloccò i fianchi e le gambe, tenendole anche le braccia con le sue mani ogni qual volta lei cercasse di respingerlo.

L’uomo non disse più una sola parola e la baciò avidamente.

Mentre lei cercava di liberarsi dal peso del suo corpo che la tenne bloccata, con la mano destra l’uomo le strappò lo slip.

Era chiaro che voleva possederla, in quel momento.

Dario iniziò anche a svestirsi dei suoi abiti, approfittando della difesa debole della donna che nel frattempo in lacrime cessò di resistergli, e tirando giù la lampo dei suoi pantaloni, le sussurrò che lei era bellissima, che la voleva. Infine la penetrò, fino a quando il suo desiderio raggiunse l’apice, infierendo colpo su colpo tra le gambe della donna, la quale si lasciò trascinare dal piacere, gemendo di essere sua.

Si distesero nel letto, entrambi stanchi, provati ed incerti.

A lei girò la testa, si sentiva intorpidita ancora dai fumi dello champagne, però non riuscì ad odiarlo.

Aveva sofferto la solitudine e lui le era stato vicino, non conosceva uomini da mesi e, come molte donne, il desiderio inconscio di essere presa con la forza le aveva suscitato la voglia di fare all’amore, anche se iniziò subito a essere tormentata, fino a sentirsi sporca per avere tradito  se stessa,  e forse Fabrizio.

Dario invece aveva gli occhi lucidi e si sentì soddisfatto.

L’uomo accese una sigaretta americana, stando seduto sul letto, rivolgendosi nudo alla donna, parlandole in un lungo monologo, giustificandosi che lui l’amava.

Confessò che da mesi  ne era pazzamente innamorato e la desiderava fino al punto di perdere la testa. 

Lei lo ascoltò in silenzio.

Dopo si alzò dal letto e velocemente si portò nel bagno a fare una doccia calda, strofinando con avidità la spugna e il sapone sul suo corpo, sui seni e nei fianchi.

Vestita del suo accappatoio, rientrò in camera, dove  lo vide  ancora nel letto, preoccupato dall’indifferenza della donna, titubante ed incerto, con lo sguardo oramai quasi assente, sentendosi lanciato il disprezzo di Lorella che lo scrutò con gli occhi duri, facendogli  perdere l’aria del maschio soddisfatto.

La ragazza si portò avanti all’armadio, pettinandosi i capelli stravolti e, guardandolo dallo specchio come se  gli fosse di fronte, gli rivolse finalmente la parola, dicendo decisa e con forza di rialzarsi, di vestirsi, e gli ordinò di lasciare immediatamente quella casa. 

Dario provò a giustificarsi, chiedendo scusa, ma lei lo guardò impassibile, seguendolo ed accompagnandolo con lo sguardo fino all’uscita dalla porta, richiudendola forte, senza salutarlo.

L’uomo scese le scale, ferito nell’animo e capì di avere sbagliato. Lei lo aveva buttato fuori dalla sua porta, facendolo sentire un verme, nudo ed umiliato.

Lorella era una donna e gli era stata debole solo a letto.

Lui, invece, da vincitore si sentì vinto, solo ed in castigo.

E scendendo le scale, si vergognò di se stesso.

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