Senza lavoro dopo 26 anni di carcere, si incatena: “Non sono un cane randagio!”

 
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Gela. Incatenato davanti l’ingresso di Palazzo di Città. Il cinquantaduenne Rocco Ferrigno, un passato fatto di carcere ed errori, ha trascorso l’intera notte all’aperto in attesa di risposte.

“Per mesi – spiega – ho chiesto al sindaco e agli assessori di aiutarmi. Un lavoro che mi permetta di riavere dignità. Ho sbagliato nel passato ma, oggi, anche i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta confermano che con la criminalità ho chiuso. Nonostante ciò, sono costretto, anche dopo aver ottenuto la liberà, a rimanere in catene. Ero in catene in carcere e lo sono adesso”.
La protesta di Ferrigno, per ventisei anni ristretto in penitenziari di mezz’Italia, è scattata al culmine della disperazione. “Non riusciamo più ad andare avanti – ammette la moglie Concetta Marrale – siamo stati costretti a vivere per tre mesi senza corrente elettrica perché non avevamo le risorse economiche per pagare le bollette. Tutti sembrano volerci assicurare soluzioni provvisorie. Poche centinaia di ore per uno o due mesi e poi? Oramai siamo classificati come mafiosi e, per questa ragione, ci evitano neanche fossimo cani randagi”.
La protesta dell’ex detenuto proseguirà fino a quando non otterrà una risposta alle sue richieste. “Non ho molto da perdere – continua – sia io che mia moglie abbiamo bisogno di cure ma, senza soldi, come dovremmo fare? Rimanendo disoccupato, inoltre, rischio che i magistrati di sorveglianza mi indichino come socialmente pericoloso. Non ce la faccio più”.
L’appello dei due coniugi, seguiti dall’avvocato Lucio Greco, è rivolto al primo cittadino Angelo Fasulo e, più in generale, a chi possa assicurargli una possibilità di riscatto. “Ho scontato la mia pena per ventisei anni – conclude Ferrigno – ma non posso essere marchiato a vita”.  

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