Soldi agli operatori Eni per il pagamento dei lavori, “ci chiesero 5 mila euro”

 
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Gela. Per i permessi di lavoro in raffineria ma anche per ottenere i pagamenti delle contabilità presentate bisognava versare soldi ad alcuni operatori di Eni. E’ questa l’accusa che ha portato a processo Rocco Romano, Cono Maugeri, Alberto Scibetta, Giacomo Iozza, Vincenzo Izzia e Salvatore Minacapelli. Vicende che risalgono a diversi anni fa ma che sono ancora al centro del dibattimento che si tiene davanti al giudice Miriam D’Amore. “Venni a sapere da un mio responsabile – ha detto in aula l’ex capocantiere della società Tucam – che per una contabilità da quaranta mila euro che venne presentata fu chiesto un pagamento da cinque mila euro”. Insomma, soldi agli operatori Eni per evitare che la procedura di pagamento potesse bloccarsi. Accuse che sono state sempre respinte da imputati e difensori. In base alla loro linea, non sarebbe stato possibile stoppare i pagamenti delle contabilità, data la presenza di un sistema informatico interno che avrebbe consentito ad Eni di monitorare per intero tutte le procedure.

Testimoni già sentiti in aula, però, hanno confermato le richieste di denaro che gli imputati avrebbero fatto recapitare ai responsabili delle aziende dell’indotto. L’ex capocantiere Tucam ha risposto alle domande del pm Pamela Cellura e dei difensori, gli avvocati Antonio Gagliano, Flavio Sinatra, Fabrizio Ferrara, Rocco Guarnaccia, Raffaela Nastasi, Vincenzo Vitello e Giusy Troni. Dal prossimo gennaio, gran parte delle contestazioni andranno incontro alla prescrizione.

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