“Sostanze tossiche a contatto con la falda”, le accuse sulla gestione della vasca A di raffineria: “Non era impermeabilizzata”

 
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Gela. “Quella vasca non era impermeabilizzata. Sostanze altamente tossiche e nocive entravano direttamente in contatto con la falda sottostante.

Era stata realizzata con parametri del tutto superati”.

Le verifiche sulla vasca A. In aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, il consulente nominato dalla procura ha ripercorso una fase dell’indagine che ha condotto i pm e i militari della capitaneria di porto ad alzare il velo investigativo sulla vasca A zona 2 dell’area della raffineria Eni di contrada Piana del Signore. Una sorta di buco nero, nel quale, in base alle accuse, sarebbero state stoccate sostanze tossiche e pericolose. A processo, ci sono tecnici e manager della multinazionale. Si tratta di Battista Grosso, Giuseppe Ricci, Rosario Orlando e Felicia Massetti. Sulla vasca, già negli scorsi anni, è partita una procedura di bonifica. “Abbiamo effettuato carotaggi fino ad una profondità di trenta metri – ha continuato il consulente – da quanto ho potuto appurare, la contaminazione era storica e attuale”. I difensori degli imputati, però, hanno a loro volta puntato sulle autorizzazioni che il gruppo Eni avrebbe ottenuto per lo stoccaggio dei rifiuti pericolosi oltre che sui progetti di bonifica dell’area. In dibattimento, sono parti civili il Comune, con l’avvocato Stefania Valente, e l’ex provincia di Caltanissetta, con il legale Michele Micalizzi. Parte civile è anche Vincenzo D’Agostino, ex addetto alla zona di quella vasca, oltre al Ministero dell’ambiente, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Laspina. Furono i militari della capitaneria di porto ad avviare le prime verifiche che, successivamente, portarono ad un’indagine molto più complessa. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Gualtiero Cataldo, Salvatore Panagia, Alessandra Geraci e Piero Amara.

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