Spari a Sant’Ippolito per intimidire il rivale, le microspie piazzate nella stanza d’ospedale di Bodinaku

 
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Gela. Microspie all’interno di una delle stanze dell’ospedale Vittorio Emanuele, quella nella quale venne ricoverato il venticinquenne Igland Bodinaku, adesso sotto processo.

“Piazzammo i microfoni per le ambientali nella stanza d’ospedale”. Deve rispondere dell’azione di fuoco messa a segno, nell’aprile di un anno fa, in via Ivrea a Sant’Ippolito. Diversi colpi di pistola vennero esplosi in direzione del portone d’ingresso e del citofono di un appartamento. Il messaggio, stando alle accuse, doveva essere recapitato al ventiquattrenne Graziano Romano. L’abitazione raggiunta dai proiettili, infatti, appartiene alla famiglia di Romano. La proprietaria dell’immobile si è costituita parte civile con l’avvocato Carmelo Brentino. All’identificazione di Bodinaku, giovane albanese da anni residente in città, si arrivò attraverso l’analisi delle immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza della zona. Avrebbe agito insieme ad Antonio Radicia, che ha già patteggiato per questi stessi fatti, e ad un terzo complice, ancora non identificato, che materialmente sparò. A descrivere le fasi dell’intera indagine è stato in aula, davanti al giudice Manuela Matta, uno dei carabinieri che si occupò dell’inchiesta. “A quegli spari – ha spiegato – seguì, solo qualche mese dopo, il tentato omicidio di via Minardi. In quel caso, proprio Igland Bodinaku venne colpito più volte da diversi proiettili. Si trovava all’interno della sua abitazione in regime di arresti domiciliari. Così, per cercare di approfondire l’intera vicenda, piazzammo dei microfoni anche all’interno della stanza d’ospedale nella quale venne ricoverato dopo l’intervento chirurgico subito”.

I dubbi sull’identità dei componenti del commando. Gli spari a Bodinaku sarebbero stati la risposta organizzata da Graziano Romano che, per il tentato omicidio, è di recente stato condannato dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale. “Le due vicende, quella di via Ivrea e quella di via Minardi – ha confermato il carabiniere – sono collegate”. I legali di difesa di Igland Bodinaku, gli avvocati Carmelo Tuccio, Flavio Sinatra e Raffaela Nastasi hanno contestato le accuse fin dalla fase delle indagini. Proprio l’avvocato Tuccio, in aula, ha fatto leva sui possibili dubbi legati all’identificazione di Bodinaku, riconosciuto solo dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza. “Come mai – ha proseguito il legale di difesa – non avete provveduto subito al fermo di Bodinaku dato che venne riconosciuto solo dopo qualche giorno?”. Intanto, il giudice Matta ha detto sì alla richiesta, formulata dal pm Tiziana Di Pietro, relativa alla nomina di un perito che avrà il compito di trascrivere il contenuto delle intercettazioni ambientali, fondamentali per ricostruire l’intera vicenda. Si ritornerà in aula il prossimo 24 novembre. 

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