Spari in fabbrica, lavoratori di Petrarsa uccisi e dimenticati

 
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Gela. Dopo l’occupazione del 1860,senza nessuna dichiarazione di guerra,i Piemontesi,cominciano lo smantellamento delle fabbriche del sud per facilitare lo sviluppo industriale del nord.
L’industria metallurgica più grande esistente nell’Italia di allora e in Europa si trovava a Pietrarsa, nominata Reale Opificio che occupava 1050 dipendenti ben retribuiti economicamente con tutti i requisiti sociali e assicurativi. L’industria fondata da Ferdinando II di Borbone nel 1840 a Pietrarsa in Campania, fu uno dei primi obiettivi politici della speculazione finanziaria e della politica economica dello stato torinese al fine di fiaccare progressivamente la concorrenza dello sviluppo assistito dell’Ansaldo di Genova.
I lavoratori meridionali erano pagati ancora in grana (centesimo di Ducato), per 8 ore lavorative al giorno che videro scendere mano mano a valori molto più bassi.
I colonizzatori, cominciarono a trasferire i capireparto con macchinari modernissimi al fine di insegnare agli operai del nord le nuove tecniche lavorative,perché sprovvisti di qualsiasi nozione aziendale. Successivamente anche i Vigilanti ben pagati,divennero uno strumento per gli affaristi che si succedettero alla direzione dell’azienda meridionale per sfoltire il personale assunto (nota come subito dopo l’occupazione i responsabili dei centri di potere furono sostituiti dai piemontesi con ladri e assassini di ogni genere).

Si elevarono progressivamente le ore lavorative e cominciarono ad applicare delle vere e proprie gabbie salariali, relegando i lavoratori meridionali di Pietrarsa nelle categorie più misere per mera scelta geo-politica. Nell’agosto del 1863, la pazienza dei lavoratori tracima e il fosco affarista milanese Jacopo Bozza, che aveva abbassato la paga a soli 30 grana e alzato l’orario di lavoro a 11 ore giornaliere,incita le maestranze che chiedevano di fare un passo indietro, portando la paga a 35 grana e l’orario a 10 ore,visto che con quella paga si riusciva a comperare appena il pane per vivere e si stava precipitando nella miseria più assoluta.
Allora decisero di protestare tutti insieme. Istigati anche dal sorvegliante Mazzeo Giuseppe Aglione, infame, che la mattina del 6 agosto 1863,suonò a martello la campana dello stabilimento, segnale convenuto per fare scoppiare lo sciopero della nascente Italia liberatrice dei popoli oppressi dalla tirannide. Quasi tutti i lavoratori si ammassarono nel piazzale dello stabilimento in numero superiore a 660 per discutere sul modo come comportarsi.
Bozza e il segretario Zimmerman,secondo un piano prestabilito, attraversarono tranquillamente il piazzale e si diressero nella vicina Portici per fare intervenire le autorità di polizia. L’infame Bozza riferisce al questore Nicola Amore di violenze e sedizioni che si erano verificate all’interno dello stabilimento di Pietrarsa e sollecita l’intervento immediato della polizia.
Il questore Nicola Amore con il maggiore Martinelli del 33° battaglione dei bersaglieri di stazza a Portice, concentrarono l’intervento armato davanti il cancello della fabbrica e sistemati in assetto da guerra contro i 660 scioperanti disarmati,i primi in ginocchio e i secondi in piedi, aprirono il fuoco senza nessuna pietà.
Il fuggi fuggi generale fu disastroso perché le forze armate piemontesi inseguirono i fuggiaschi sparando e gli ufficiali con le spade sguainate inseguivano i fuggitivi nascosti ogni dove. Secondo i dati ufficiali del governo Sabaudo (di assassini) i morti furono solo 4 e 20 i feriti. Sono questi i segreti di Stato che ancora oggi perseguono i nostri governanti. Il giorno dopo in fabbrica mancarono 216 lavoratori spariti nel nulla senza motivo o non si sono presentati per paura, Bella giustificazione dei nostri salvatori per il bene della nazione! Chi ha tradito o chi ha ucciso l’ha sempre fatto per un fine nobile,queste le giustificazione dei politici che continuano a governarci inesorabilmente,trovando giustificazione per tutto quello che copre le malefatte utile agli interessi personali.
Ancora oggi non riusciamo a scoprire niente sul disastro di Ustica e tanti altri segreti di Stato, ricorre oggi 23/maggio/2018 il massacro del Giudice Falcone e Borsellino e continuiamo a scervellarci su chi sono i mafiosi o gli altri malavitosi del popolo arretrato delle due Sicilie. Scordandoci che dal momento in cui si costituì l’Italia unita,i piemontesi ci classificarono briganti con l’aiuto del grande antropologo torinese Lombroso e riempirono le nostre città di assassini e condannati agli ergastoli di tutta Italia, inserendoli nei posti di comando per distruggere il territorio duo Siciliano. Noi tranquillamente andiamo avanti per inerzia e non ci preoccupiamo minimamente di conoscere le nostre origini e ci adagiamo sugli allori e accettiamo passivamente tutto quello che i nordisti,detentori dei partiti politici tradizionali, hanno voluto farci sapere, ricordandoci pedissequamente che le nostre origini sono mafiose e malavitose, anche attraverso i programmi che l’informazione di Stato ci propina ininterrottamente per non dimenticare.

1 commento

  1. Per correggere tutti gli errori e i fraintendimenti contenuti nel testo di Maganuco servirebbe un articolo più lungo del suo. Mi limito all’indispensabile. Ovviamente è falso che Pietrarsa nel 1860 fosse “l’industria metallurgica più grande esistente in Europa”: per fare un solo esempio, lo stabilimento francese di Le Creusot contava nel 1850 3.250 operai, oltre quattromila dieci anni più tardi.
    Prima del 1860 i salari dei lavoratori di Pietrarsa erano differenziati a seconda della categoria in cui erano inquadrati: comunque la paga giornaliera media era di 45 grana al giorno per gli “artefici civili”, ai militari ed ai servi di pena impiegati nello stabilimento si corrispondevano 12 grana al giorno. I garzoni ne percepivano 5. La durata della giornata lavorativa era di dieci ore, e non di otto.
    È ben noto come i governi post-unitari abbiano compiuto molti errori di politica industriale, e come l’industria meccanica campana ne abbia sofferto in modo particolare. Ma la società per la gestione dello stabilimento di Pietrarsa della quale Jacopo Bozza – già direttore dei telegrafi sotto il governo borbonico – era il prestanome, costituitasi il 9 maggio 1863, aveva come principali azionisti due ben noti industriali napoletani, Gregorio Macry e Francesco Henry.
    Lo sciopero del 6 agosto 1863 fu originato dalla protesta operaia per l’allungamento dell’orario ad 11 ore e fu represso a mano armata da un battaglione di bersaglieri: ho già ricordato i nomi dei quattro caduti di quel giorno (Luigi Fabbrocino, Aniello Olivieri, Aniello Marino e Domenico Del Grosso: uccisi perché operai, non perché meridionali, e infatti non c’è storia del movimento operaio italiano che non li ricordi) commentando un altro articolo di Maganuco.
    Quanto al trasferimento di macchinari e tecnici nelle fabbriche settentrionali, è un’altra “fake new” per usare un termine alla moda. Pietrarsa venne assorbita nella “Società nazionale di industrie meccaniche” costituita dopo i drammatici fatti dell’agosto 1863 e le sue officine tra il 1864 e il 1877 eseguirono lavori per 42 milioni di lire, comprese 150 nuove locomotive (altre 72 vi furono riparate), 1948 carri e 291 vetture per il comparto ferroviario.

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