“Stella cadente”, spari e incendi di bar e auto: “Riscontri da ammissioni Canotto”

 
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La scena di un incendio doloso ripresa da sistemi privati di videosorveglianza

Gela. Si è autoaccusato di incendi e danneggiamenti, anche a colpi di arma da fuoco. Il giovane collaboratore di giustizia Giovanni Canotto, con le sue dichiarazioni, ha contribuito a confermare la linea investigativa, che ha condotto i pm della Dda di Caltanissetta a ricostruire le nuove dinamiche interne al gruppo degli stiddari, che sarebbe stato guidato dai fratelli Di Giacomo. Canotto avrebbe agito su commissione di molti stiddari. La fondatezza delle indicazioni fornite, dopo la decisione di collaborare con la giustizia, è emersa dai riscontri ottenuti dai poliziotti della mobile che hanno condotto l’indagine “Stella cadente”. Uno dei poliziotti ha parlato in aula, nel corso del dibattimento. Ha elencato una serie di azioni, tutte ammesse da Canotto. Ci sarebbe stato lui dietro a decine di incendi di automobili, ma anche ai colpi di arma da fuoco esplosi contro un’abitazione privata e in direzione della saracinesca della sede di una delle società di Valerio Longo, imprenditore che gli investigatori considerano vicino al gruppo Rinzivillo. Avrebbe appiccato l’incendio al locale “Peccati di gola”. A rispondere alle accuse, davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Francesca Pulvirenti), sono Giovanni Di Giacomo, Salvatore Antonuccio, Samuele Cammalleri, Alessandro Pennata, Vincenzo Di Giacomo, Benito Peritore, Vincenzo Di Maggio, Giuseppe Truculento, Giuseppe Vella, Giuseppe Nastasi e Rocco Di Giacomo. Canotto, invece, è a processo per questi fatti, ma ha scelto l’abbreviato e la sua posizione verrà valutata dal gup del tribunale di Caltanissetta.

Il poliziotto della mobile che ha seguito l’indagine ha risposto alle domande del pm della Dda nissena Matteo Campagnaro. Canotto avrebbe avuto un ruolo attivo anche nel giro di droga organizzato dagli stiddari. Per gli investigatori, Bruno Di Giacomo e i fratelli, ritornati in libertà, avrebbero riorganizzato il gruppo della stidda, con la disponibilità di armi. Il testimone ha parlato degli spari ad un garage, nella zona del quartiere Borgo. Vincenzo Di Giacomo avrebbe quasi rivendicato la paternità, intercettato il giorno successivo. Non sarebbero mancate minacce e intimidazioni esplicite, fino all’aggressione dei titolari di alcune rivendite di biciclette. Le difese, a cominciare da quella di Samuele Cammalleri (rappresentato dagli avvocati Carmelo Tuccio e Flavio Sinatra), hanno posto l’attenzione sulla presunta imposizione di forniture a bar e attività di ristorazione. Ritengono che le contestazioni mosse dai pm della Dda non trovino riscontri. Gli esercenti sottoposti a minacce e ritorsioni sono costituiti in giudizio con gli avvocati Valentina Lo Porto (che rappresenta i titolari di due diverse imprese commerciali) e Alessandra Campailla (che ha avanzato la richiesta per conto di un ambulante). Parte civile, ma solo per alcuni capi di imputazione, è anche uno degli imputati, Rocco Di Giacomo (con l’avvocato Antonio Gagliano). Parti civili sono la Fai e l’associazione antiracket, in aula anche questa mattina c’era il presidente Renzo Caponetti. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Ivan Bellanti, Giovanna Zappulla, Cristina Alfieri, Enrico Aliotta e Antonio Impellizzeri.

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