Tredicesimo capitolo – Attentato in Vaticano

 
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D’inverno, le serate erano monotone a Roma, se il tempo non si trascorreva in un gran gala oppure al cinema, in una mostra culturale o a cena con gli  amici di compagnia, oppure con un partner intrigante.

Anche le giornate erano vissute di routine nelle sedi giudiziarie della capitale.

Ogni mattina per i magistrati era un dovere recarsi in ufficio, a piazza Clodio; sette, otto ore di lavoro, e poi lunghe file ed ingorghi tra le caotiche vie cittadine per ritornare a casa, a rifocillarsi dalla stanchezza.

A casa però le ore erano passeggere.

Si aspettava così l’imbrunire della sera, per organizzarsi il dopo cena.

Dario telefonò a Lorella, domandandole se nonostante l’ora tarda le andasse di andare in una caffetteria o in un ristorante esclusivo di Testaccio o Trastevere per mettere qualcosa sotto i denti, se non avesse ancora cenato, e bere del buon whisky.

Alla ragazza l’alcol non piaceva.

Da anni era astemia ed in passato all’avvocato Berti aveva sempre suggerito di non bere, di non alzare mai il gomito.

Però il procuratore era un uomo più maturo, e bere un bicchiere alcolico non era certo compromettente, né capace di togliergli la sobrietà.

Andarono al Rigolo del Testaccio, un piccolo ed esclusivo ristorante frequentato dalla Roma bene, percorrendo con l’autovettura di servizio di Dario il lungotevere, seguiti discretamente a distanza dall’auto civetta e dagli uomini della scorta.

Giunti vicino al locale, lasciarono l’automobile in custodia al parcheggiatore ed entrarono, sedendosi in un tavolo distante dal piano bar, dove la musica arrivava dolcemente e di sottofondo.

Il viso di Lorella aveva lasciato il pallore della settimana precedente; dopo essersi accomodati e rilassati su un’amabile conversazione, lei ordinò un cocktail alla frutta esotica e l’uomo dello scotch whisky con ghiaccio.

Attorno al tavolo e con il drink in mano, dialogarono dei fatti degli ultimi giorni.

Dopo, la ragazza prese la parola, come a lanciarsi in un lungo monologo e a ringraziare il compagno della solidarietà mostratale.

Gli disse la donna:

“Questa settimana mi sei stato vicino nel momento del bisogno; tutto è successo così precipitosamente.

Mi sentivo la donna più felice di questa terra, invece vivevo con un uomo immaturo ed egoista; però le tue parole, il tuo conforto, mi hanno riempita di coraggio e di forza ad andare avanti, spronandomi ad essere me stessa, dimenticando il passato.

E’ stato un segno del destino”, ribadì, sorseggiando il suo aperitivo, poggiando delicatamente le labbra sul suo calice.

Forse lassù, nel cielo, qualcuno aveva scritto la parola fine alla mia storia d’amore con Fabrizio.

Forse non ero in grado di continuare a vivere con un partner che si comportasse da bambino.

Sì; è stato un bene lasciarlo”, annuì, abbassando lo sguardo verso  l’intreccio delle dita delle sue mani che, muovendosi, furono annodati  da Lorella in un gioco ansioso del quale cercò la soluzione.

“Ma è strano: ho giurato di cancellare il suo nome dalla mia memoria; ora, anche se volessi violare il mio giuramento, non riuscirei neppure a pronunciarlo.

Lo sento così freddo, gelido, distante.

Dario, non avrei voluto coinvolgerti nei miei drammi personali, ma ancora una volta ti dico grazie”, pronunciò solidale.

Sai, senza di te, non so cosa avrei fatto, dove sarei.

E’ così.

Ti debbo molto, ti sono riconoscente”, gli disse mentre lui attento la guardava puntandola negli occhi. 

“Penso che, diversamente avrei lasciato anche il mio lavoro.”

L’uomo ascoltò in silenzio, mentre la ragazza gli mormorò il lungo sfogo, interrotto solo da qualche goccia di cocktail con il quale ella si bagnava le labbra, continuando ad analizzare i fatti, componendoli, sminuzzandoli per poi ricomporli a suo piacimento, cogliendo delle verità oggettive e vere, dove il suo ex convivente era il carnefice e lei la vittima.

“Ne sono certo”, acconsentì Dario con un tono d’approvazione. 

“Trattarti in quel modo è stato meschino”.

“Non lo so”, rispose Lorella, sopraffatta dalle emozioni contrastanti, divisa tra l’odio che provava per l’ex compagno e l’inconscia giustificazione che volle dargli e che lei sapeva di esistere in suo favore, continuando a confabulare come un fiume in piena, mostrando titubanza nel focalizzare i fatti e nel giudicarlo.

Lui colse in quell’incertezza un’emozione con la quale la razionalità di Lorella fu messa in discussione.

Era necessario convincerla definitivamente a desistere dalla ricerca di una giustificazione, e dare l’ultimo taglio al fantasma di Fabrizio, del quale lo stesso Dario ebbe timore, colto da un inaspettato brivido freddo.

“Secondo me, hai paura ad affrontare il futuro”, le replicò.

Dimenticalo, come lui ti ha dimenticato.

Anzi, hai bisogno, come ogni donna, di un uomo, ma non vuoi ammetterlo a te stessa”.

“Forse”, lei replicò con la voce dimessa, tenendo gli occhi abbassati, valutando i rapporti con gli uomini del suo passato.

“Manlio è stato il mio primo uomo.

Ero attratta dalla sua eleganza e classe, ma lentamente si è mostrato un egoista, un uomo freddo, incapace di amare, di sapere cos’è una donna.

Il mio ex compagno, invece, mi ha insegnato l’amore, dandomi la voglia di essere libera, di conoscere i miei sentimenti e di vivere le emozioni che provavo, però nel momento del bisogno mi ha tradito, complottando contro la mia immagine e la professione di giudice che svolgo con puntiglio e con il rigore religioso.

Lui ne era consapevole e si è tirato indietro.

E’ un uomo meschino, un egocentrico, un arrivista.

Ecco chi è!

Oppure… sì, forse lui è una persona difficile”, disse titubante. “Capisco che possa sembrarti assurdo, ma penso che si è intestardito: sono sicura che lui ancora mi ama.

Però io non lo amo; anzi, lo odio con tutta me stessa“, pronunciò con rabbia e a labbra strette.

“E allora vai avanti”, la incoraggiò Dario, cercando di dare al rivale il colpo di grazia.

“Ormai l’irreparabile è accaduto.

I segni dell’angoscia e del rimpianto ti sono evidenti; ma per Dio, il mondo è pieno di uomini”, le rinfacciò.

La donna scosse la testa, come a concludere che non le importasse più nulla degli uomini, anche se i pensieri la ricondussero indietro nei mesi e negli anni.

Durante la relazione con Fabrizio i due avevano desiderato avere dei figli; ora era stato un bene non averne, diversamente lei non sarebbe ritornata sui suoi passi per nessuna persona al mondo, dunque dei bambini innocenti sarebbero stati coinvolti dalla sua irreversibile decisione.

“Oh, sì”, obiettò a se stessa.

“Fabrizio sarebbe stato un buon padre, ma un pessimo marito ed il mio antagonista.

Adesso, ad un tratto, pensando a ciò che era stato il compagno, non si sentì più frustrata per non avere avuto  il figlio che tanto aveva desiderato, fino a consultarsi con un esperto ginecologo romano all’insaputa del compagno di vita.

Si sentì certa che gli anni a venire sarebbero stati migliori poiché  l’amore le sarebbe andato  incontro: ricordò quanto era stato vissuto e cosa le ebbe a confidare la first lady.

La cena passò velocemente, lasciando dello spazio anche ai sorrisi e agli aneddoti raccontati dall’uomo, ascoltati amabilmente dalla donna che riuscì a ridere, a lasciarsi alle spalle i pensieri poco piacevoli.

Poi, uscirono dal locale dopo la mezzanotte e lui l’accompagnò sotto casa, dicendole, ritornando sull’argomento caldo della serata, che nonostante le rassicurazioni ad essere pacata, lui era preoccupato.

“Promettimi di essere serena, di non ritornare a macinare i ricordi del passato”.

“Te lo prometto”, rassicurò Lorella, sorridendo e riferendogli che le dava fastidio l’ora tarda e il disordine che aveva in casa; diversamente, lo avrebbe invitato a salire su in appartamento, a bere un altro drink, accompagnato da un’altra interessante conversazione.

“Va bene; domani ci vediamo in ufficio”, disse alla collega, la quale annuì all’amico che si era comportato come un padre, dispiacendole implicitamente che fosse un uomo sposato e vicino ai sessant’anni.

Lorella gli diede un bacio sulla guancia e lo salutò, salendo di corsa nella sua dimora, sotto la quale per qualche minuto si erano trattenuti nel cordiale e intimo dialogo.

Mentre lei si allontanava e sparì  dietro l’uscio della sua abitazione,  Dario  si mise nervoso alla guida della sua autovettura, avvicinandosi discretamente all’auto civetta della sua scorta, comandando al capo pattuglia di lasciarlo e di raggiungerlo domani mattina alle otto e quindici all’ingresso della sua villa sull’Appia antica, perché gli andava di fare una passeggiata da solo.

Sgommò con la sua autovettura e diede gas al motore, per scaricare le emozioni e la sua tensione; guidò a zonzo lungo le strade della capitale oramai deserta, dispiacendosi della differenza di età con la collega.

Una donna come lei, anche se era dolce e intrigante, carina e affascinante, poteva essere conquistata da un uomo con la sua esperienza.

La diversa età ed il suo stato coniugale non erano degli ostacoli insormontabili, rappresentavano però uno scoglio, come lei gli fece implicitamente capire.

Valutò la fiducia che s’era guadagnata nelle settimane precedenti, giorno dopo giorno, e guardandosi un attimo nel retrovisore della sua autovettura che lo stava conducendo verso casa  ed a velocità sostenuta, all’improvviso cambiò espressione, e si sorrise al pensiero di fare breccia nel cuore della giovane collega, galvanizzandosi per i continui progressi nel conquistarla, tesi ad ottenere la stima della donna ed avvicinarla definitivamente a sé.

Infine, pensando al corpo sensuale dell’affascinante giudice,   carico di libido, accarezzandosi i baffi come se gustasse una dolce sensazione, Dario svoltò sull’arteria principale dell’Appia antica, avviandosi a percorrere l’ultimo chilometro verso  villa Costanzo, ghignando dall’autovettura contro la sua stessa  immagine riflessa dal retrovisore centrale, guardandosi imperioso negli occhi vivi e nella violacea bocca dai denti aguzzi, esclamando un roco “siììì”, amplificato dal silenzio notturno dell’interno della sua berlina, inebriato dalla propria, oramai sicura certezza  e convinzione di riuscire  a fare di Lorella la sua amante. 

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