Tribunale: “Quel fabbricato non andava demolito”, il Cga condanna il Comune

 
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Gela. Il Comune dovrà risarcire i proprietari dell’area in cui è sorto il tribunale, con la rivalutazione monetaria. Il Cga Palermo ha infatti depositato le motivazioni della sentenza che condannano l’amministrazione a risarcire i titolari del fabbricato demolito per fare posto al nuovo palazzo di giustizia.

Nella sua sentenza, motivata in dodici pagine, il presidente Riccardo Virgilio, estensore Guido Salemi, ha sottolineato che i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi di mora sul valore del bene. Il capitale di riferimento è sul relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato. Inoltre le somme calcolate saranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della sentenza. In pratica la prima sentenza risale al 10 marzo 2010.

La vicenda è nota. Maria Rosaria Calafiore, Oscar Andrea Maria Benvenuti Sciascia, Gaetana Calafiore, Lucia Calafiore, Leonardo Alberto Maria Benvenuti, Emanuele Calafiore, impugnarono la delibera di giunta del 28 maggio 2009 con la quale era stata acquisita al patrimonio indisponibile dell’ente di un’area urbana, quantificando il valore venale e risarcitorio degli immobili appartenenti ai ricorrenti in complessivi 262.137 euro e gli interessi moratori in complessivi  39.356 euro.

Venne contesta l’ordinanza del 18 settembre 2009, a firma del vice sindaco, con la quale venne ordinato lo sgombero immediato del fabbricato abusivamente realizzato in via Generale Cascino. Con sentenza del 10 marzo 2010, il giudice ha accolto il primo ricorso e ha condannato il Comune al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti. L’amministrazione andò avanti. Demolì il fabbricato e prese possesso dell’area. Il Tar ammise che le censure dei ricorrenti andavano condivise circa il difetto di competenza del vice Sindaco del Comune, Elisa Nuara. Il Comune propose appello contro quella sentenza. Il 9 giugno 2011 il ricorso al Cga, che quattro giorni fa ha depositato le motivazioni della sentenza, che ha respinto l’appello principale e accolto in parte quello incidentale.

Il provvedimento di sgombero si era reso necessario e improcrastinabile al fine di portare avanti e, quindi, concludere i lavori per la realizzazione del Palazzo di Giustizia, bloccati da diversi anni proprio a causa dell’inottemperanza all’ordine di demolizione del fabbricato abusivo in questione. La censura per il Cga è infondata. La competenza all’adozione degli atti gestionali appartiene ai dirigenti dell’ente locale. In particolare, sono attribuiti ai dirigenti “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale”. E non poteva essere il vice sindaco a firmare l’ordinnza.

Con il quarto motivo di appello si sostiene che nessuna censura poteva essere legittimamente sollevata nei confronti della quantificazione delle somme da corrispondere a titolo di risarcimento, essendo stata essa determinata in applicazione delle vigenti disposizioni di legge. Anche questa censura è infondata. l’amministrazione avrebbe dovuto considerare, specificatamente, il contesto ampiamente urbanizzato in cui è ubicato l’immobile, nonché l’eventuale presenza di fabbricati. Il Comune sosteneva che il manufatto era abusivo, ma per il Cga una volta annullato il provvedimento di diniego del condono, diventa irrilevante, ai fini della qualificazione del danno, sostenere che il fabbricato sarebbe ancora abusivo.

Non potendo più essere restituito il terreno, per il Cga  il Comune ha unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure deve agire con un nuovo procedimento espropriativo.

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