“Uccise ma senza premeditazione”, ridotta condanna a Cilio: 24 anni per omicidio Sotti

 
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Cilio è stato condannato in via definitiva a ventiquattro anni di reclusione

Gela. Nel dicembre di diciannove anni fa, uccise l’allora ventiduenne Orazio Sotti, ma senza premeditazione. I giudici della Corte d’assise di appello di Caltanissetta hanno rideterminato la pena imposta al niscemese Giuseppe Cilio. Ventiquattro anni di reclusione, a fronte dell’ergastolo che gli era stato imposto in primo grado. I magistrati nisseni hanno escluso la premeditazione. L’omicidio, quindi, non sarebbe stato pianificato nei mesi precedenti, ma si sarebbe trattato di un agguato deciso nell’arco di poche ore, quelle che precedettero i colpi di pistola. Sotti venne ucciso davanti al garage dell’abitazione di famiglia, a Fondo Iozza. I pm della procura di Gela e i poliziotti ripresero le indagini, dopo che inizialmente non si arrivò a tracciare un possibile movente di quell’esecuzione. L’operaio ucciso non aveva mai avuto contatti con i gruppi della criminalità organizzata e così si cercò di andare verso altre piste. Decisiva fu la volontà della famiglia di trovare una verità, nonostante i tanti anni trascorsi. Il lavoro degli agenti dell’aliquota della procura ha permesso di risalire a Giuseppe Cilio e al fratello Salvatore, assolto però in primo grado. L’imputato ha sempre escluso di aver ammazzato l’operaio. Gli inquirenti, però, ritengono che l’azione di morte sia stata decisa per “vendicare” uno sgarro sentimentale. Pare che Sotti avesse intrattenuto relazioni sentimentali con le allora fidanzate dei fratelli niscemesi. Questo avrebbe armato la mano di Giuseppe Cilio. Una versione ribadita, anche durante le repliche, dalla procura generale e dal pm Eugenia Belmonte, che ha seguito tutto il procedimento di primo grado, rappresentando l’accusa. Il difensore di Cilio, l’avvocato Salvo Macrì, in appello ha chiesto e ottenuto l’esame di nuovi testimoni, che però non hanno apportato un contributo ricostruttivo tale da convincere i giudici. Il legale, con un folto ricorso, ha contestato per intero il tessuto motivazionale del verdetto di primo grado, mettendo in discussione la fondatezza delle testimonianze. Secondo la sua versione, non ci sarebbe mai stata una vera certezza neanche sul possesso di una pistola da parte di Giuseppe Cilio. La donna che la notte dell’omicidio si trovava insieme a lui ha confermato di averlo accompagnato nella zona di Fondo Iozza, ma non avrebbe assistito a quello che accadde successivamente. E’ durato circa sette ore l’intervento per le conclusione del legale, che in parte sembra aver aperto un varco nella ricostruzione d’accusa, tanto da convincere i giudici ad emettere un verdetto decisamente meno pesante. “Per Cilio è un piccolo passo – commenta il difensore subito dopo l’udienza – ma questa pronuncia è comunque un grande passo verso la verità”.

Nella decisione emessa, vengono confermate le statuizioni in favore dei familiari della vittima, costituiti parti civili, con gli avvocati Giuseppe Cascino, Francesco Minardi e Maria Cascino. I legali della famiglia hanno sostenuto le richieste della procura generale, chiedendo la conferma dell’ergastolo. Sono convinti che Cilio abbia deliberatamene ucciso il giovane operaio. Già in primo grado, gli era stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni e una provvisionale. A questo punto, la vicenda arriverà anche in Cassazione e il verdetto dei giudici romani potrebbe segnare nuovi sviluppi oppure rendere definitiva la condanna.

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