“Ucciso” dallo Stato, è fallito ma gli enti comunali gli devono 2 milioni di euro

 
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Gela. Uno sciopero della fame silente che va avanti ormai dal 6 ottobre. A portarlo avanti è l’imprenditore Emilio Missuto, 41 anni, che minaccia di volere smettere anche di bere.

Il suo medico di famiglia, Salvino Tandurella, ieri si è recato nel presidio allestito nel parcheggio antistante Palazzo di giustizia.

Le sue condizioni sono precarie – ammette il medico – ha perso già 20 chilogrammi. Se smettesse anche di bere bisognerebbe alimentarlo mediante flebo”. L’imprenditore, si sente vessato dalle istituzioni ma continua ad avere fiducia nella giustizia. Si è rivolto anche alla presidenza della repubblica, ma il segretario generale Michele Maria Morabito, negli scorsi giorni ha fatto sapere di non conoscere il fascicolo relativo al ricorso straordinario presentato dalla società Cosei, inviando a sua volta una nota al ministero dello Sviluppo Economico. Dall’11 luglio attende una risposta sulla richiesta di rilascio del parere decisionale di rito. Nel 2012 il giudice, Luca Solaini, del tribunale di contrada Giardinelli, ha disposto il decreto ingiuntivo di pignoramento alla società Cosei “per un debito di 23 mila euro – spiega Missuto – nonostante l’azienda continua a vantare crediti per un milione e 500 mila euro, da tre amministrazioni comunali. Devo ricevere un milione di euro dal comune sardo di Santadi – precisa l’imprenditore – dove nel 2006 ha realizzato interventi fluviali che hanno retto alle piene degli ultimi anni. Quasi 250 mila euro dal comune di Mazzarrone per avere realizzato, nel 2009, un depuratore e, infine, altri 250 mila euro dall’amministrazione comunale di Cagliari dove ho ammodernato nel 2010 una condotta fognaria. I tre enti pubblici non hanno mai pagato gli interventi eseguiti dalla Cosei, aggiudicati regolarmente tramite bando ad evidenza pubblica. Lo Stato, invece, ha colpito l’imprenditore e la società che amministrava. “Mi hanno pignorato un escavatore che avevo regolarmente pagato – prosegue Missuto – i mobili di casa, costringendomi a licenziare tutti i lavoratori. Sono trascorsi 44 giorni dal primo giorno di sciopero della fame, ho perso 20 chilogrammi. L’unica forza che mi spinge ad andare avanti sono le cinquanta famiglie distrutte e costrette a rimanere a casa. Anche a loro è stato negato il diritto al lavoro e calpestala la dignità. Eppure sono maestranze altamente specializzate in lavori idrogeologici e fluviali che hanno operato a tutela e difesa dei cittadini”.

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