Un tilt giudiziario, sei anni fa le condanne definitive “Munda mundis”: Greco era vittima di mafia

 
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Greco si uccise perchè non sopportava l'onta dell'esclusione dalla white list della prefettura

Gela. Esattamente sei anni, per passare da imprenditore che denunciò i clan a titolare di un’azienda, la Cosiam, ritenuta non idonea all’iscrizione nell’Anagrafe antimafia degli esecutori, tanto da non poter partecipare agli appalti pubblici per la ricostruzione post-sisma in Centro Italia. Una contraddizione giudiziaria che ha pesato sull’imprenditore Riccardo Greco, al punto da portarlo a togliersi la vita, proprio all’interno degli uffici della sua azienda. Era il febbraio 2013 quando la Corte di Cassazione rese definitive le condanne ai danni di esponenti locali di stidda e cosa nostra che per dieci anni avevano imposto il pizzo sulla gestione del servizio rifiuti in città. Proprio Greco e gli altri imprenditori impegnati in quell’appalto decisero di denunciare facendo scattare l’inchiesta “Munda mundis”. Vennero emesse condanne per oltre 130 anni di carcere ai danni dei capi delle famiglie locali e a Greco così come agli altri titolari delle aziende venne riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Nel febbraio del 2019, dopo due interdittive antimafia che praticamente hanno tagliato fuori la Cosiam da importanti appalti pubblici, Greco si è sparato. La famiglia, attraverso il figlio Francesco, ha espressamente parlato di uno Stato colpevole. Un tilt giudiziario e burocratico che non ha consentito a Greco di reggere la pressione. Probabilmente, il marchio del sospetto non se lo sarebbe mai aspettato. Un sospetto confermato di recente dai giudici amministrativi del Tar Lazio, ai quali il legale dell’imprenditore si erano rivolti per contestare il provvedimento firmato dai funzionari del Ministero dell’Interno e che escludeva la Cosiam dagli appalti per la ricostruzione in Centro Italia. “In base a quanto emerge dalla motivazione del provvedimento impugnato – si legge nell’ordinanza che ha respinto la richiesta di sospensiva avanzata dai legali – ad una sommaria delibazione, propria di questa fase del giudizio, non può escludersi la sussistenza di quegli elementi sintomatici del rischio di infiltrazione mafiosa che fondano la misura preventiva di cui si tratta”.

Dopo il suicidio, la prefettura di Caltanissetta ha quasi voluto prendere le difese del sistema che ha condotto ad estromettere la Cosiam dall’Anagrafe antimafia, nonostante l’assenza di qualsiasi condanna giudiziaria. “La ditta Cosiam srl dell’imprenditore Rocco Greco – scrivono i funzionari di Caltanissetta – è stata destinataria di due interdittive antimafia una l’11 dicembre 2018 e l’altra il 10 gennaio 2019. I provvedimenti si fondano su risultanze di indagine e processuali nate sulla scorta delle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia e sui relativi riscontri probatori svolti dagli organi investigativi in merito all’effettivo svolgimento delle gare d’appalto aggiudicate a Greco dal ’90 al ’96. Rocco Greco era stato testimone in un processo celebrato davanti al Tribunale di Gela in cui erano stati sentiti numerosi appartenenti a clan locali per alcuni episodi estorsivi consumati in danno di imprenditori gelesi (tra cui lui stesso) nel corso del dibattimento erano emerse ipotesi di collusione tra imprenditori ed esponenti delle cosche. Per questo motivo il Tribunale di Gela, pur avendo ritenuto provate le condotte estorsive aveva riconosciuto la necessità di disporre la trasmissione degli atti alla Procura della gli opportuni e necessari approfondimenti investigativi. Da tali indagini è scaturito il procedimento penale che ha visto l’assoluzione del Greco – in primo grado – da parte del Tribunale di Caltanissetta”. La sentenza però è stata impugnata in appello, senza diventare definitiva, e la stessa prefettura fa riferimento al verdetto sfavorevole emesso dal Tar Lazio. Lo Stato si difende davanti a quello che però sembra un vero e proprio paradosso.

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