“Veleni” nella Lega, Giudice porta Candiani in tribunale: senatore solleva immunità parlamentare

 
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Giudice e il senatore Candiani

Gela. Le ruggini politiche, tutte interne alla Lega, finiscono in tribunale. L’imprenditore Antonio Giudice, che dei salviniani in città è stato uno dei primi alfieri, al punto da candidarsi a sindaco per le amministrative 2015, sotto il simbolo dello stesso Matteo Salvini, ha avviato un’azione civile nei confronti del senatore Stefano Candiani. Chiede di essere risarcito perché sarebbe stato destinatario di pesanti insinuazioni. Il parlamentare, uomo forte di Salvini in Sicilia, l’avrebbe pesantemente apostrofato, mediante un comunicato stampa diffuso durante la fase precedente alla campagna elettorale conclusasi lo scorso aprile, con la sconfitta del candidato schierato dai leghisti. Avrebbe espressamente parlato di un esclusivo interesse di Giudice per le “poltrone”, definendolo anche “millantatore”. L’imprenditore e altri militanti locali della prima ora sono stati praticamente messi alla porta, con i vertici leghisti che hanno preferito puntare su un “nuovo” corso, adesso rappresentato da due consiglieri comunali all’assise civica. Davanti all’azione, avviata dall’avvocato Angelo Cafà, Candiani ha subito sollevato l’immunità parlamentare. Secondo il suo legale, l’avvocato Giuseppe Vignera, si sarebbe trattato dell’esercizio di una funzione istituzionale e non di un attacco personale. Una linea che la difesa dell’imprenditore ha contestato davanti al magistrato Flavia Strazzanti, chiamata a valutare l’azione esercitata. L’ex candidato a sindaco si sente diffamato. Il giudice valuterà se sussistano i presupposti per far valere l’immunità da parlamentare di Candiani.

Secondo il legale di Giudice, invece, non ci sarebbe alcun nesso funzionale, dato che le insinuazioni mosse dal senatore non avrebbero alcun collegamento con l’attività istituzionale. E’ stato Candiani, nella fase di riorganizzazione del partito in città, a sponsorizzare i nuovi ingressi, voluti soprattutto dal deputato Alessandro Pagano, altro fedelissimo di Salvini.

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